Una storia di vita inusuale quella della medicinese Giuliana Panieri che, per motivi di lavoro (lei è una scienziata marina), dal 2013 vive e lavora al Circolo Polare Artico. Storia che questa sera, alle 21, racconterà nel chiostro del palazzo comunale di Medicina.
Cosa l’ha spinta a trasferirsi?
"Mi è stato offerto un posto di lavoro, una cattedra, all’università Artica della Norvegia. Parallelamente a questo lavoro al Centro di Eccellenza Cage per un progetto di ricerca sull’impatto del metano e del gas idrato (fase solida del metano, ndr) sul clima e sull’ambiente. Sono due sostanze, infatti, fortemente presenti nelle aree oceaniche che circondano il continente. La mia famiglia è venuta con me e ora viviamo qui permanentemente".
Come si sviluppa il suo lavoro al Circolo Polare?
"Lavoro in mare per la maggior parte del tempo. Facciamo due o tre spedizioni all’anno. Passo in mare quasi due mesi. Le spedizioni servono per prendere tutto quel materiale che noi dovremo poi studiare e analizzare in rapporto. C’è dunque una fase di reperimento dell’oggetto della ricerca ed un’intensa fase di analisi. Questa viene fatta e portata avanti grazie ad una serie di laboratori specifici che l’università stessa ci mette a disposizione".
E la fase in mare come si svolge?
"Le nostre spedizioni si svolgono grazie a due navi che l’università ci mette a disposizione e senza le quali nulla sarebbe possibile. Una, appena arrivata, può spaccare ghiacci di ogni spessore e superfici di ogni tipo. Questo ci permetterà di portare avanti ricerche importanti che fino ad ora non si potevano fare e questo sarà l’obiettivo più prossimo".
Lavora in team giusto?
"Certo. Siamo un gruppo, ad oggi di circa trenta, quaranta persone. Ognuno ha il suo ruolo e spesso siamo complementari. Certo è, però, che non sappiamo tutto e non bastiamo a noi spesso. Godiamo, infatti, della collaborazione di tante altre università internazionali".
Com’è vivere al Polo Nord?
"Inutile dire che le condizioni climatiche sono estreme. D’estate il sole è perenne e d’inverno abbiamo almeno due mesi di buio costante, ma ormai ci siamo abituati. la lingua non è stato neanche un problema cosìr grande perchè per fortuna tutti parlano l’inglese e quindi sia noi che i nostri figli siamo riusciti ad ambientarci".
Pensa di rientrare in Italia?
"Questo non lo so. Per il contratto di lavoro e la cattedra che ho potrei anche rimanere qui tutta la vita. Chissà cosa riserverà il futuro. Il calore umano dell’Italia, però, manca".
Zoe Pederzini
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