
Trudie Styler sarà oggi al cinema Lumière alle 21,45 per il suo documentario Posso entrare? - An Ode to Naples, che presenta anche una canzone originale di Clementino, Neapolis e un’esibizione di Sting a Secondigliano, con un’orchestra che suona strumenti molto particolari ricavati dal legno dei barconi. Sono tante le persone comuni o meno comuni– come Don Antonio Loffredo o Roberto Saviano– che Styler ha incontrato per raccontare una faccia di Napoli che non tutti conoscono, internezzata da bei filmati d’archivio dell’istituto Luce. E tutto lontano dai cliché ‘turistici’.
Quando ha iniziato a scrivere la trama del documentario aveva chiaro che sarebbe stata la storia di un nuovo rinascimento sociale e civile di Napoli?
"Non lo sapevo, non avevo scritto ancora una storia. La bellezza della commissione da parte di Rai Cinema è stata molto generosa, perché mi hanno dato completa libertà di scrivere una storia per dire quel che desideravo. Ho fatto un po’ di scouting e poi la stesura di una sceneggiatura che a loro è piaciuta. Ma quella rinascita di cui parla lei in effetti era già iniziata e da un certo punto di vista mi era familiare perché ci sono sempre dei campioni che incontri, degli eroi in una città che portano avanti quelle istanze che generano rinascita civile. Io e mio marito Sting siamo attivisti da quarant’anni con la Rainforest Foundation: nel 1988 andammo in Amazzonia e scoprimmo che tante tribù indigene soffrivano di problemi ai polmoni a causa dell’industria estrattiva di olio e gas che era stata installata lì e che riversava mercurio nelle acque che bevevano".
Avete raccolto la loro storia e l’avete fatta conoscere.
"Esatto, portando con noi anche uno dei capi, Raoni, della tribù Kayapó, per far sapere al mondo che la Foresta Amazzonica stava soffrendo. Ecco, questa esperienza mi ha dato quella sicurezza per farmi pensare che avrei potuto raccontare la storia di Napoli Posso Entrare?.
Come ha scelto le storie del film?
"Mi è stato consigliato di studiare la situazione del quartiere Sanità, cercando di capirne di più e raccontando la storia di Don Antonio e delle cose meravigliose che sta facendo, il suo programma di ‘guarigione’ che dovrebbe essere replicato come modello. Si occupa infatti dei bambini e lavora con le madri per assicurarsi che le sue cinque chiese non siano usate solo la domenica per la messa, ma divengano teatro, sala prove per l’orchestra Sanitansamble; la sacrestia diventa un ring per la boxe che non è vista con violenza ma come certezza di avere uno scopo e una disciplina. Poi ci sono altre storie nate ascoltando e riprendendo le persone, come quella di Silvia. Un giorno vedo un uomo che lavora con la macchina da cucire in uno scantinato e ripara jeans e una borsa di plastica: busso alla finestra e dalla scala scende una donna. Toc toc... posso entare?– chiedo– e lei: certo! Vede la mia cinepresa e mi chiede se diventerà famosa. Poi mi fa entrare e le chiedo se posso osservare quello che fa con l’amica Anna, tutto qui, la vita quotidiana a Napoli. Ho cercato questo e storie profonde di resistenza e rinascita".
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