La politica per un nuovo Occidente

La fotografia della nostra società ‘scattata’ da Graziosi nella lezione annuale del Mulino in Santa Lucia

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di Claudio Cumani

Guai a pensare che l’Occidente sia una zona geografica più o meno definita. E’ piuttosto, spiega Andrea Graziosi (professore di Storia contemporanea all’università di Napoli con passate docenze a Harvard, Yale, Parigi e Mosca), una categoria ideale, o meglio intellettuale. C’è stato un Occidente di Aristotele e uno degli illuministi e, più recentemente, c’è stato un Occidente nato dopo la seconda guerra mondiale e ormai sulla via della sparizione. Perché dagli anni ‘70 in poi è nato un Mondo Nuovo, frutto del precedente boom economico, che ormai appare in piena crisi. Il concetto è perfettamente racchiuso nel titolo Occidenti e modernità. Pensieri sulla fine di un’epoca dato alla Lettura del Mulino (giunta alla sua trentasettesima edizione) che ieri mattina si è tenuta in una stipata aula magna di Santa Lucia: fra gli ospiti Ignazio Visco, Romano Prodi, il rettore Giovanni Molari, il giudice della Corte costituzionale Augusto Barbera.

Dunque, l’idea di Occidente nella seconda metà del ‘900 diventa indissolubilmente legata a quella di modernità declinata su più versanti: c’è, spiega il professor Graziosi, un ‘Moderno maggiore’ nel segno del consumismo di cui gli Stati Uniti hanno fornito la tipologia più pura e c’è un ‘Moderno minore’ identificabile con il socialismo sovietico. A casa nostra succede però che il benessere generalizzato, quello che il relatore identifica come ‘Moderno maggiore maturo’, produca in questi decenni un brusco calo della natalità (colpa di mutate sensibilità) e un inatteso allungamento dell’aspettativa di vita (merito dei farmaci e della prevenzione).

E qui cambia la fotografia sociale. Cresce l’isolamento (in Italia ci sono 9 milioni di monofamiglie), i giovani emarginati fanno i conti con aspettative via via decrescenti, aumentano con la solitudine il rancore, la rabbia e le teorie del complotto. E a chi si ripiega sui tempi andati non resta che il dolore. Perché, afferma Graziosi, "l’utopia del passato è falsa".

E’ una società, questa, che è costituita in percentuale impressionante da disabili e depressi, che vive lo scontro fra nativi e non nativi (di cui ha assoluta necessità), che lega il reddito all’istruzione, che registra una trazione delle donne, a cui il ‘Moderno’ è certamente più adatto. E’, insomma, una società nella quale si è andato costruendo un bacino ‘reazionario’ di gente perbene ma sofferente.

Come uscire da questo Mondo Nuovo individualista in cui sono soprattutto i poveri e gli esclusi ad avere paura del cambiamento? Graziosi sostiene che gli storici non possono parlare di futuro perché esso è imprevedibile come hanno di recente dimostrato il Covid e Putin. Ma una cosa è certa: serve la politica. Con i suoi tempi, ma serve la politica. Per cogliere le opportunità del cambiamento, per elaborare misure altre (Graziosi cita la creazione di un’Agenzia dell’immigrazione) e per convincere la gente a fare scelte diverse rispetto alle emergenze demografica ed economica. E serve la Ue, un nuovo stato in cerca di sé da salvare. Ma soprattutto nell’Occidente che verrà ci vorranno parole. Parole capaci di tenere insieme giovani, anziani e migranti.

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