La redazione tutta femminile di Gualberta

Biancastella

Antonino

emancipazionismo femminile non è fenomeno recente, come talvolta si crede, e la storia di Gualberta Alaide Beccari, padovana di nascita (1842), ma trapiantata a Bologna, lo testimonia. Mazziniana come suo padre, era convinta che le donne, per rendersi autonome dagli uomini, dovevano avere una maggiore istruzione e che il loro impegno doveva sfociare in "atti eroici e sublimi", ovvero nella partecipazione all’azione politica. All’età di 16 anni scrive drammi, commedie e racconti per ragazzi, ma il suo desiderio di realizzarsi come "cittadina" le ispira l’idea di fondare un giornale che contribuisca a cambiare la mentalità femminile. Il progetto si realizza nell’aprile del 1868 col primo numero del periodico ‘La Donna’, che ha una redazione, per la prima volta, tutta al femminile e solo collaboratrici, per sottolineare la fiducia nelle capacità femminili ma anche per essere di stimolo a tutte le lettrici a partecipare e ad esprimersi liberamente, in un clima di complicità. La rivista ha un taglio impegnato che non indugia su argomenti "frivoli" e contiene, invece, notizie di attualità, reportages, articoli scientifici e letterari ed inoltre diffonde informazioni sulle lotte del femminismo internazionale. Nel 1878, quando la Beccari si trasferisce a Bologna con la sua redazione, l’impegno politico della rivista si fa più specifico, seguendo con attenzione particolare l’attività delle società operaie di ispirazione mazziniana e le lotte rivendicative nel mondo del lavoro. Ma un periodico così innovativo fece subito scandalo e fu molto criticato, tuttavia contava su numerosi e affezionati lettori e una serie di articoli pro-riforma elettorale stimolò 3000 donne a firmare una petizione per il suffragio femminile. ‘La Donna’ continuò le sue pubblicazioni fino alla fine del 1891, pur con gravi difficoltà economiche per la sua coraggiosa fondatrice e direttrice, che dopo aver tenuto per quasi 25 anni le fila del movimento delle donne morì dimenticata e in povertà nel 1906. Solo dopo la sua morte il sindaco di Bologna, sulla spinta di un Comitato di illustri signore, le procurò una degna sepoltura alla Certosa, come lei desiderava.

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