"L’epopea dei locali da ballo sotto le Torri"

Al Gallery 16 la presentazione del volume ‘Disco Mute’ con la mostra fotografica. Mingardi: "Una rivoluzione partita anche da Bologna"

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di Pierfrancesco Pacoda

Sono state riassorbite dalla natura che le circondava, diventate oggetti di desolata archeologia industriale dove una volta le piste da ballo si accendevano di inquiete luci stroboscopiche e i bassi riprodotti da impianti spesso avveniristici facevano ondeggiare i corpi con l’energia di decina di migliaia di watt. Simbolo di un’epoca, le discoteche, culminata negli sfavillanti anni 90. Poi il silenzio, le chiusure, l’abbandono, tutto documentato nel libro appena uscito Disco Mute, che gli autori Simone Nanetti e Alessandro Tesei presentano questa sera al Gallery 16 (ore 20, via Nazario Sauro, 16A), insieme ad Andrea Mingardi. Dalle 18 anche una mostra con le foto incluse nel volume.

Mingardi, lei nelle discoteche ha costruito la sua carriera.

"Le sale da ballo sono state la vera formazione per più di una generazione di musicisti, artisti che poi hanno preso strade diverse. Io, Gianni Morandi, Lucio Dalla, per fare i nomi di cantanti bolognesi, prima delle nostre carriere soliste, abbiamo lavorato per anni nelle balere, maxi-discoteche da migliaia di persone, suonando almeno quattro notti a settimana".

Un mondo che non esiste più.

"Un mondo precedente l’avvento del dj. Noi avevano delle scalette incredibili, dovevamo far ballare per molte ore, il repertorio era composto almeno da settanta canzoni per sera, i successi del momenti, i brani di fama internazionale. Ci voleva una grande resistenza fisica, oltre che qualità strumentale. Perché la concorrenza era spietata. Spazi enormi, penso, per rimanere alla nostra regione,al Piro Piro di Toscanella di Dozza, al Marabù di Reggio Emilia, al Picchio Rosso di Formigine. Ma era un fenomeno geograficamente vastissimo".

Quando è nato il fenomeno?

"La grande diffusione delle discoteche coincide con l’arrivo in Italia del beat, nella seconda metà degli anni 60, e prosegue ininterrotta sino agli anni 80 e oltre. Ma prima c’era stata quella rivoluzione chiamata rock’n’roll. La svolta avviene allora, i ragazzi prendono consapevolezza della propria fisicità, il ballo acquisisce, dopo Elvis, un significato sensuale. Fu allora che le città si riempirono di posti dove ballare. Ogni pub cercava orchestre rock’n’roll locali. Era il 1956 e mi affermai con i Golden Rock Boys".

Il rock’n’roll cambiò tutto...

"Prima dovevi far ballare con il cha cha cha, con il tango. Fu uno squarcio. Per suonare rock’n’roll dovevi crederci, non sbagliare una nota, il pubblico era severissimo, anche il ballo cambiò, i ragazzi studiavano i balli che nascevano in America, il boogie. Una festa continua. Dal centro storico, con le balere come quella dei Dipendenti Comunali al Drago Verde a Borgo Panigale. Poi, qualche anno dopo, arrivarono i Beatles e le sale diventarono delle succursali di Carnaby Street a Londra".

A quale dei tanti locali bolognesi, dove si è esibito con le sue orchestre, è ancora sentimentalmente legato?

"Sicuramente allo Sporting Club nella Galleria del Toro. Non era una balera enorme, ma per noi musicisti bolognesi era un banco di prova perché frequentato da un pubblico molto esigente. La domenica pomeriggio si suonava dalle 14.30 alle 19, poi due ore di pausa e si riprendeva alle 21. E non erano solo i ragazzi a metterci alla prova, ma anche il leggendario Commendator Pardera, il proprietario. Severissimo, era molto amato, ma era anche il terrore di tutte le orchestre bolognesi".

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