L’estate e i racconti dei ’pesi’

Giorgio

Comaschi

Dovete essere pronti a dire: "Sì me l’hai già raccontato". Può succedere che lui allora dica: "Va bene" e si blocchi. Ma non è detto. A volte anche al: "Sì, me l’hai già raccontato" te lo racconta lo stesso e non puoi far altro che stare a sentire e annuire. Qualche sorrisino qua e là ci sta bene tanto per fargli piacere. Le persone, diciamo così i ’pesi’ bolognesi, hanno cinque o sei racconti di solito. Sono quelli che girano sempre. Ma siccome li raccontano a tutti ovviamente non riescono a ricordarsi a chi l’hanno già raccontato e soprattutto quante volte. C’è uno, per esempio, che ama raccontare un episodio successogli in vacanza, con una tarantola trovata in camera e seccata con una ciabatta (non so dove fosse, forse in Kenia). Questo racconto fa parte dei classici. Già sentito, da parte nostra, dalle sette alle otto volte. Non è mai cambiato, le parole sono sempre le stesse. La ripetitività dei racconti è prerogativa di quei gruppi di coppie che si frequentano da anni e spesso vanno anche in vacanza insieme. È lì che alla sera, dopo cena, bevendo il birrino, partono i vari pipponi. Si rimane quasi sempre in silenzio, annuendo, cercando di far passare il momento, sterzando su un altro argomento tipo: "E di ’sto People Mover cosa ne dite?". Oppure: "Ma secondo voi ci sono troppi turisti a Bologna?". Si spera che da lì si intavoli un’altra discussione fino a quando tornerà l’inesorabile frase: "Sentite, non so se ve l’ho già raccontato…". E lì si stramazza privi di sensi.

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