
La scrittrice e giornalista Lidia Ravera
Non è un saggio ma una confessione. O meglio ancora una riflessione su quanto la condizione femminile sia ancora sminuita, ostracizzata, calpestata. "È un libro che mi mette in gioco – dice Lidia Ravera – , un libro che, essendo molto personale, diventa molto politico". La battaglia delle donne, spiega, non quella di ottenere l’uguaglianza ma di vedere riconosciute le differenze. Senza temere di essere molestate, senza aspettare di essere scelte, senza preoccuparsi delle rughe e della menopausa. Ravera, arrivata giovanissima alla notorietà negli anni Settanta con il romanzo cult Porci con le ali ma forte di una vita di lotta e di scrittura, presenta il suo volume Volevo essere un uomo (Einaudi) oggi alle 18 in Salaborsa nell’ambito de La voce dei libri in dialogo con Susanna Zaccaria. Lei avrebbe voluto essere un uomo perché la società in cui ha mosso i primi passi era a misura di uomo, perché non avrebbe voluto scegliere fra affetti e carriera e perché le sarebbe piaciuto non sentirsi sempre sotto osservazione.
"La vita delle donne – spiega – è complessa e faticosa. I maschi hanno come modelli di riferimento il ragazzo e l’uomo, per le femmine c’è solo quello della ragazza. Perché loro devono comunque essere oggetto del desiderio e portatrici di fertilità. Il valore sta lì".
Ravera, come è cambiato il femminismo nel tempo?
"Da sempre sono femminista e sempre lo sarò: non è come iscriversi a un partito, si tratta di una dimensione esistenziale che dovrebbe appartenere a ogni donna attenta. Partiamo da una società in cui esisteva l’istituto della dote e si proclamava come auspicio ‘auguri e figli maschi’. Molto è stato fatto e le donne hanno acquisito più dignità e maggior senso di sé, anche se negli ultimi tempi vengono messe in discussioni conquiste civili fondamentali. Di recente mi pare comunque che il femminismo sia diventato di moda, non so se è pop perché è commerciale o se è commerciale perché pop".
È una presa di coscienza che parte da lontano..
"Fra la fine dell’800 e i primi del ‘900 arriva il movimento delle suffragette ma è negli anni ‘70 che nasce il femminismo capace di rivendicare la diversità. Oggi vince l’ordine simbolico del padre, quello che vediamo esibito dai potenti della terra. Ma è l’ordine simbolico della madre a dire di accoglienza, solidarietà, cura e nutrimento. Parlo di una rivoluzione ideologica ma necessaria: se altre sono schiave, non sei libera neanche tu".
Racconta della centralità del corpo ma scrive anche che la bellezza non è democratica. Perché?
"La bellezza è come il talento, ce l’hai oppure no. Ma se la prendi come modello rischi di rimanere frustrata. Quanto al corpo, mi soffermo su quello complesso e perfetto delle donne che sa generare. Credo che maschi e femmine stiano su binari paralleli che non si incontrano. Non a caso Luce Irigaray ha scritto un libro intitolato Amo a te per dire che amore non chiede un complemento oggetto come ‘te’ ma è un moto a luogo".
Come mai aumentano in misura così rilevante i femminicidi?
"Gli uomini sono sempre più fragili e non possono accettare che una donna sia un soggetto e non un oggetto di desiderio, faticano a capire che il desiderio verso di loro si può estinguere. Il modello culturale secondo cui Eva nasce da una costola di Adamo non favorisce il cambiamento".