L’inchiesta sul delitto. Dalla pistola carica alle troppe telefonate. Sei indizi da spiegare

Gualandi nel carcere della Dozza per avere sparato a Sofia Stefani: ecco perché la versione dell’incidente non ha convinto il giudice. Ora le perizie dovranno definire la ricostruzione della vicenda.

L’inchiesta sul delitto. Dalla pistola carica alle troppe telefonate. Sei indizi da spiegare

L’inchiesta sul delitto. Dalla pistola carica alle troppe telefonate. Sei indizi da spiegare

Sono almeno sei i punti della ricostruzione di Giampiero Gualandi che non convincono gli inquirenti del Nucleo investigativo die carabinieri e il pm Stefano Dambruoso. E che, alla luce dell’udienza di sabato, non hanno convinto nemmeno il Gip Domenico Truppa, che pur non convalidando il fermo ha confermato la custodia cautelare in carcere per l’ufficiale di polizia locale con l’ipotesi di omicidio volontario aggravato dai futili motivi e dal legame per la vittima. Anche secondo il giudice lo sparo partito dalla pistola di ordinanza di Gualandi che ha ucciso Sofia Stefani non è stato il frutto di una tragica fatalità, ma un gesto intenzionale per sbarazzarsi di quella ragazza divenuta troppo ingombrante nella sua vita.

La pulizia della pistola. Non viene ritenuta credibile la versione secondo cui, per pura coincidenza, Gualandi avrebbe ritirato poco prima l’arma di ordinanza allo scopo di pulirla in vista di un’esercitazione al poligono. Tanto più che la pistola era carica: una leggerezza non da poco per un ufficiale così esperto.

Il colpo mortale. Secondo Gualandi sarebbe partito accidentalmente durante una breve colluttazione con la ragazza. Tuttavia quell’unico colpo, cu cui dovranno fare luce anche la perizia balistica e quella autoptica, ha attinto la vittima in pieno volto, con una precisione che sarebbe una seconda straordinaria coincidenza dopo quella del ritiro dell’arma.

La colluttazione. Questa circostanza non troverebbe conferme nelle testimonianze delle persone presenti al comando di polizia locale di Anzola, che secondo quanto trapela dalle indagini non avrebbero udito voci concitate né trambusto provenire dall’ufficio di Gualandi prima dello sparo.

I guai giudiziari. Giampiero Gualandi è stato coinvolto in alcuni casi giudiziari maturati nell’ambiente di lavoro, tutti conclusi con il proscioglimento. Dai post su Facebook attribuiti a profili fake che screditavano il sindaco Veronesi, a presunte molestie ipotizzate nell’ambito di un’inchiesta sui verbali elevati con l’autovelox, a un paio di altre vicende minori. Tutto finito nel nulla, va sottolineato, ma che viene visto nell’ottica accusatoria come potenziale indice di una personalità difforme dall’immagine di stimato ufficiale di polizia locale con una ’famiglia da Mulino Bianco’, come viene descritto dai vicini.

La relazione finita. È lo stesso Gualandi a descrivere il quadro di una relazione sentimentale che lui considerava finita, ma che Sofia avrebbe voluto coltivare ancora, con un’insistenza tale da spingere anche la moglie dell’arrestato a scendere in campo per ripristinare la serenità familiare, attraverso un confronto diretto con la giovane ex collega del marito. Poteva l’esasperazione dell’uomo giungere al punto di configurare la morte della ragazza coma la soluzione?

L’arrivo della vittima. L’ufficiale avrebbe sostenuto davanti al Gip di non sapere che Sofia si sarebbe presentata nel suo ufficio. Eppure, da un primo esame dei tabulati telefonici emergerebbero tra le 15 e le 20 chiamate nel pomeriggio del 16 maggio, giorno dell’omicidio, l’ultima delle quali chiusa appena 7 minuti prima della telefonata di Gualandi al 118. A tragedia avvenuta.

Enrico Barbetti