Marino Golinelli, i 100 anni del filantropo. "Voglio un mondo folle"

Ha creato un gigante farmaceutico, fa ancora ricerche per un pianeta migliore: "Potrei dire: ho già dato. Invece no, si può sempre donare"

Marino Golinelli, imprenditore, filantropo, ricercatore, festeggerà oggi i suoi 100 anni

Marino Golinelli, imprenditore, filantropo, ricercatore, festeggerà oggi i suoi 100 anni

Bologna, 10 ottobre 2020Era lunedì, quel giorno. L’11 ottobre 1920 il presidente degli Stati Uniti era Woodrow Wilson, in Italia invece Giovanni Giolitti con il suo quinto governo (Popolari, socialisti, riformisti, radicali e democratico-sociali alleati insieme) veniva sconfitto sulla questione di Fiume, mentre Tommaso Marinetti stava scivolando dal futurismo ai Fasci di combattimento all’ombra di Benito Mussolini. Era lunedì e a San Felice sul Panaro in una famiglia contadina nasceva un bimbo, Marino, con gli occhi vispi e una gran voglia di conoscere il mondo. Un secolo dopo quel bimbo è ancora qui, Marino, filantropo e creatore di un gigante farmaceutico (Alfa Sigma) da un miliardo di fatturato. Fanciullino, uomo di famiglia, imprenditore, collezionista d’arte,  figlio/fratello/padre/nonno di una comunità intera. Ma Marino, Marino Golinelli, non guarda indietro, non l’ha mai fatto. "Sono un centenario, ma penso al futuro", dice. Ed effettivamente a chi gli chiede un pensiero su questa vita grande come l’universo, Golinelli non guarda a quel 1920 dove un papà indaffarato nei campi (26 biolche di terra nella Padania post Grande Guerra) nascondeva i soldi sotto il materasso, o una mamma di cinque figli allevava polli e vendeva le uova, o nemmeno guarda a Marino, il bimbo dagli occhi vispi, che crescendo era diventato "timido, estremamente timido, totalmente normale, oserei dire amorfo". Non guarda nemmeno a un ragazzo, quasi uomo, che dopo gli inizi in Chimica e la laurea in Farmacia Il 24 gennaio 1948 costituisce la prima azienda, l’Alfa - Alimenti fattori accessori - Biochimici. Lo zucchero era ancora razionato, veniva comprato al mercato nero. "Dieci chili alla volta al bar La Torinese. Con fosforo, calcio e altro preparavo uno sciroppo. Un solo dipendente, Rizzoli. Per portare la damigiane alle farmacie usavo il tram. Il mio dipendente si vergognava, diceva che non era dignitoso farsi vedere così. San Felice sul Panaro, Mirandola-Bologna, sessanta chilometri: allora era un viaggio in un altro mondo", raccontava in una intervista. Il primo locale in via Galliera (la firma fu apposta davanti al notaio Gallerani, il papà gli aveva prestato sessantamila lire) era diventata la base dove fare lo sciroppo Sitacoidine, poi arrivò un laboratorio più grande nella villa di un amico. Nel ’59 fu il cardinal Giacomo Lercaro a inaugurare il primo vero stabilimento. No, Marino Golinelli non guarda a tutto questo e ad altro che vi racconteremo. Marino Golinelli guarda "al 2050, perché vorrei sapere come sarà vivere in quei giorni; e al 2065, ho progetti ben definiti fino ad allora; e, infine, al 2088, quando la Fondazione che porta il mio nome compirà cento anni". E l’Università di Bologna mille: non è un caso che le due occasioni dialoghino come in una danza di Matisse. Golinelli annulla i concetti di tempo, viaggiando di secolo in secolo, e di spazio, creando a ogni decennio mondi nuovi e infiniti: prima il colosso farmaceutico (da Alfa Biochimici, capace di sviluppare il Vessel contro le trombosi e il Normix per prevenire i tumori all’intestino, ad Alfa Wasserman fino all’attuale fusione con Sigma), poi le letture Schiapparelli con i Nobel, e ancora il Life learning center per avvicinare i ragazzi alle bioscienze, e poi l’Opificio Golinelli casa di bambini, esperimenti e tecnologie (era il 2015) e, ultima creatura, il G-factor, acceleratore di start up e spin off. "Nel futuro ci aspetta un mondo imprevedibile, completamente diverso dall’oggi, ma dobbiamo prepararci - è il mantra di Golinelli -. Bisogna dare ai giovani gli strumenti per capire, il più presto possibile, qual è la loro passione. Devono studiare, sacrificarsi, appassionarsi. La vita è esserci con intelligenza, in modo responsabile. È impegnarsi, darsi da fare perché le cose avvengano. A cent’anni si può dire: ho già dato. E invece io dico: si può continuare, si può sempre donare". Golinelli nel 1988 creò la sua Fondazione perché voleva ridare indietro qualcosa agli altri e lo ha fatto con una impostazione calvinista, anglo-americana, serissima e (da filantropo, non da mecenate in cerca di visibilità) tanto che nel mondo è assimilato a Bill Gates e non è un caso. E come Bill Gates ha inventato qualcosa: Marino Golinelli, ad esempio, scoprì che il mercato in cui operare non era solo quello bolognese, e dunque prese una Balilla e si mise a girare l’Italia. Poi capì che ci stavamo aprendo all’Europa, e lì andò. E ancora agli Stati Uniti, dove è stato uno dei primi imprenditori farmaceutici italiano a penetrare, non senza difficoltà. Il suo antibiotico Rifaximicina ha venduto milioni di compresse nella lotta alle infezioni intestinali. Oggi nell’ex fonderia che ospita il suo Opificio sarà festeggiato da un gruppo esiguo di amici, perché il Covid non permette altro, ma lo farà in modo sorprendente e un po’ folle, con quella libertà che solo l’esperienza ti sa donare. Marino Golinelli è infatti anche collezionista d’arte di fama internazionale: non gli interessano solo i big alla Hirst, ma è vicino a Flavio Favelli, Sissi, Laurina Paperina, Alfred Haberpointner e tanti altri. Le sue giacche di inconfondibile foggia indiana, con le più preziose sete, lini, cotoni e pietre preziose, sono diventate un must per tutte le fashion victim, hipster o dandy. Il suo impegno per il Teatro Comunale è stato proverbiale e, insieme con la moglie Paola, si è buttato ad aiutare Bologna anche nella lotta al degrado. Con il Resto del Carlino ha contribuito al restauro della fontana del Nettuno, simbolo della città, e, in ultimo ordine di tempo, al progetto di rinascita dell’Orto botanico dell’Università. Non è un caso: nel giardino che dà su via Irnerio, il primo magister, troneggia ora una sequoia dal nome ‘Marino’. "Mi piace pensare di dialogare con l’universo, sono e siamo una piccola cosa in un complesso sistema di sette miliardi di persone", dice Marino, il ragazzo dei secoli.

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