
A Palazzo Pepoli la prima retrospettiva dedicata al designer e imprenditore. La figlia Agata: "Tredici capi per raccontare il suo genio"
La prima mostra sotto le Due Torri dedicata a Massimo Osti a vent’anni dalla sua scomparsa, sarà inaugurata il prossimo 7 giugno a Palazzo Pepoli in occasione del Festival dei Portici. Per l’occasione la sede del Museo della Città inaugurerà un nuovo percorso espositivo al piano terra. ’Ideas from Massimo Osti. From Bologna, Beyond Fashion’ (fino al 28 settembre, ingresso gratuito), promossa da C.P. Company e Massimo Osti Studio, avrà un debutto cittadino che potrebbe essere considerato ’prototipo’ di una mostra più vasta a cui i figli del designer bolognese, Lorenzo Osti, presidente delle due realtà e Agata Osti, partner e direttrice creativa dell’Archivio Massimo Osti, stanno già lavorando. La preview di venerdì 6 giugno (su prenotazione) è preceduta dall’incontro ’La rivoluzione di Massimo Osti: da Bologna, oltre la moda’ con Lorenzo Osti, l’head of editorial content di Vogue Francesca Ragazzi e lo scrittore Enrico Brizzi.
Agata Osti, davvero la prima mostra bolognese? "Sì, ma in generale non ci sono mai state mostre sull’archivio di mio padre, questa è una prima retrospettiva in cui siamo riusciti a raccontare il suo percorso, dagli inizi come grafico nei primi anni Settanta fino alla creazione di brand affermati come CP Company, Stone Island e tanti altri. Potrà insomma dare un’idea molto chiara ed essenziale della grandezza e dell’aspetto rivoluzionario del suo lavoro, con un’installazione molto potente. La nostra intenzione era quella di consentire a un pubblico eterogeneo e non specializzato, di comprendere in modo chiaro la forza della sua visione".
Quanti capi saranno esposti? "Tredici capi, non tanti, ma per lo studio della mostra perfetti, perché sono i più rappresentativi. Ognuno ha un’importanza perché espone o un tessuto che è frutto di una ricerca d’avanguardia e che è stato fondamentale nello sviluppo di determinati brand, o perché mostra una ricerca rivoluzionaria nella forma, nella costruzione".
Un capo cult? "Il capo cult è la Goggle Jacket di C.P. Company perché racchiude tutti gli aspetti rivoluzionari del suo lavoro, a partire dal fatto che è stato tinto in capo: questo procedimento è stata la sua prima innovazione tessile introdotta nell’abbigliamento nei primi anni Settanta. Questo capo ha poi una novità formale importante perché è di fatto un parka, qualcosa che oggi è conosciuto, tante persone hanno un parka nell’armadio, ma quando uscì nel 1988 era qualcosa di mai visto prima. Nel guardaroba maschile è il primo capo in assoluto che abbia rotto con l’abbigliamento formale. In più condensa l’ispirazione militare fondamentale nel suo lavoro: il cappuccio con le lenti è il risultato di un processo di ricerca che viene dall’osservazione di un copricapo dell’esercito giapponese con le lenti tonde sul bavero, utilizzato per un primo test. L’anno dopo, osservando una maschera antigas dell’esercito con le lenti ovalizzate, ha deciso di spostarle nel cappuccio e inserire la lente tonda nel polso sinistro creando un capo ideale per il pilota d’automobili d’epoca senza parabrezza, perché aveva le lenti protettive e la lente sul polso per l’orologio".
La mostra potrebbe essere un prototipo per qualcosa di più grande magari a Bologna? "Sarebbe bello in città, abbiamo un contatto a Londra, ma vedremo come andrà. In generale ci sono tante cose sull’agenda, non ultima la nascita della Fondazione, che speriamo di annunciare a breve".