Mast, la fotografia e i suoi utilizzi pratici

Fino all’8 gennaio il progetto curato da Francesco Zanot con opere di Armin Linke e testi di Estelle Blaschke

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di Benedetta Cucci

Non è ‘solo’ una mostra di fotografia "Image Capital", ma sulla fotografia. Il che sposta il baricentro della nuova esposizione che si è aperta ieri al Mast – dove resterà fino all’8 gennaio- verso una comprensione più complessa dei precedenti progetti proposti dalla Fondazione di via Speranza, e contemporaneamente alza il livello della nostra attenzione di pubblicovisitatore per affrontare questa ricerca sulla fotografia ‘come tecnologia dell’informazione’ (la fotografia che immagazzina informazioni, l’analisi dell’immagine e l’utilizzo nelle tecnologie per il riconoscimento automatico, la fotografia come sistema per visualizzare la realtà o un suo progetto sono i temi di tre delle sei sezioni), portata avanti dal fotografo Armin Linke (il suo lavoro "Prospecting Ocean" si era visto nel 2019 a Foto Industria) e la storica della fotografia Estelle Blaschke, ricercatrice all’Università di Basilea.

Questo progetto visivo dall’allestimento splendido e dai contenuti innovativi – con la curatela firmata da Francesco Zanot – ha richiesto quattro anni di lavoro ed è stato sostenuto dal Mast, che non è solo sede di mostra.

I due studiosi hanno quindi esplorato attraverso immagini, testi e altri materiali, le diverse modalità attraverso cui la fotografia viene utilizzata all’interno di differenti tipologie di processi di produzione.

Grazie alla fotografia i sistemi di comunicazione e di accesso alle informazioni sono migliorati esponenzialmente, fino a consentire lo sviluppo delle industrie globali e di vasti apparati governativi.

Ecco allora spiegato il titolo "Image Capital" dallo stesso Francesco Zanot: "Dentro questo circuito – afferma il curatore della mostra – le immagini assumono un peculiare valore descrivibile come una vera e propria forma di capitale".

"Il percorso espositivo – racconta Armin Linke – è costruito come un giardino dove il pubblico può navigare. E per il design dell’allestimento abbiamo lavorato con Marta Schwindling che ha pensato ai contenitori che seguono l’idea della decostruzione di alcune fotografie per presentarle come fossero scenografie teatrali in cui poi poter dispiegare il discorso più narrativo della mostra. È un po’ come entrare in un videogame".

E prosegue: "Per progettare lo spazio è stato creato con Aristide Antonas e Martina Pozzan un modello in 3D e c’è stato uno studio lungo sei mesi per disporre gli elementi come fossero degli attori, coreografando lo spazio".Come entrare, dunque, in questa esposizione frutto di una ricerca tanto elaborata? "Abbiamo cercato di avere diversi livelli di testo- spiega ancora Linke- e quindi i testi autoriali sono nelle vetrine, dove solitamente sarebbero posizionati gli oggetti d’arte, siamo stati attenti a presentare ogni oggetto con una narrazione sia in italiano che in inglese in cui spieghiamo la provenienza, perché ci sono mie fotografie ma anche molto materiale da archivi e delle interviste".

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