Cade dalla fune e muore, Matteo Pancaldi. "L'equilibrio è metafora di vita" / FOTO

L’ipotesi è che non si fosse agganciato bene un moschettone di sicurezza.

L’impresa di Matteo in piazza Maggiore, con la suggestiva veduta di San Petronio sullo sfondo

L’impresa di Matteo in piazza Maggiore, con la suggestiva veduta di San Petronio sullo sfondo

Bologna, 1 luglio 2018 - «L’equilibrio è metafora della vita. A ogni minimo errore puoi cadere». Si raccontava così, appena un anno fa alle telecamere di Trc Bologna, Matteo Pancaldi. Dopo lo spettacolo in piazza Maggiore, nel gennaio del 2017, il ventottenne di Spilamberto, morto venerdì pomeriggio sui monti al confine tra Trento e Verona, aveva provato a trasmettere la sua passione per questa disciplina estrema a chi ancora non la conosceva. Una fettuccia tesa tra due picchi, l’equilibrio e la calma che servono per attraversarla senza finire giù. «L’adrenalina c’è sempre – diceva – ogni volta è come se fosse la prima».

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Matteo, dopo la laurea in Chimica farmaceutica a Modena, si era trasferito a Bologna. E qui, nel 2015, aveva fondato assieme ad altri cinque amici la Slackline Bologna Asd. «Non siamo funamboli, questa è tutta un’altra disciplina», spiegava il ventottenne che aveva scoperto la passione per questo sport quando era in Erasmus a Barcellona, a preparare la tesi. «Un mio amico – raccontava – un giorno si portò in spiaggia la funicella e mi fece provare». E da quel momento, quest’arte fatta di meditazione e adrenalina, è stata la sua vita. Era diventato esperto, entrando in quel mondo di funi e montagne con testa, cuore e piedi ben piantati sul sottile nastro.

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Con l'associazione, Matteo teneva corsi per i bambini ai giardini Margherita e al parco di Villa Angeletti, dopo aver partecipato a un bando apposito del Comune, ‘Parchi in movimento’, e organizzava anche attività in palestra. E poi girava tutta Italia e non solo, tendendo linee da una vetta all’altra. Nell’intervista, quasi uno scherzo crudele del destino, Matteo affermava che «nello Slackline c’è adrenalina, ma non c’è rischio, perché si è assicurati a un’imbragatura sportiva, con una anella agganciata a una doppia corda». Quando parlava di quel passeggiare sospesi nel vuoto, del rapporto con la natura e se stessi, lo definiva un «momento meditativo. Quando sei sulla fettuccia sei solo». Un momento di solitudine, ma da condividere con tanti appassionati, conosciuti, come gli amici con cui aveva fondato l’associazione a Bologna, proprio attraverso la pratica di questa disciplina. «Stiamo creando comunità in tutta Italia. Vogliamo condividere con altri questo sport, fatto di equilibrio fisico e mentale insieme. Perché è così bello», raccontava.

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Quella vetta dove il ventottenne ha perso la vita era un luogo caro, conosciuto. Ora gli amici che erano con lui, che hanno assistito a quella caduta fatale, si sono chiusi nel silenzio e nel dolore. Ma la pagina Facebook che era del ragazzo si è trasformata adesso in una pagina di memoria e ricordo. Per celebrare l’arte di una vita troppo breve sospesa tra terra e cielo.

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