Maxi-sequestro da 300 milioni "Riciclati soldi della Camorra"

La Guardia di finanza mette i sigilli ai beni mobili e immobili di un imprenditore contiguo ai clan. Nel patrimonio anche 12 società e 600 edifici e terreni, ma l’uomo non dichiarava alcun reddito

Dodici società, sedici autoveicoli, 37 rapporti finanziari e 639 immobili e terreni, tra le province di Napoli, Benevento, Caserta, Bologna, Ravenna, Latina e Sassari, per un valore di quasi 300 milioni. Sono stati sequestrati all’imprenditore campano Antonio Passarelli dai finanzieri del Gico di Napoli e Bologna, che hanno eseguito la misura di prevenzione, da tramutarsi, entro massimo 18 mesi, in confisca. Una misura emessa sulla base della pericolosità sociale dell’uomo, 65 anni, attualmente ai domiciliari, accusato di avere riciclato ingenti somme di denaro per conto di diversi clan camorristici campani: clan ‘Puca’, clan ‘Di Lauro’, clan degli ‘Scissionisti’, clan ‘Mallardo’, clan ‘Verde’ e clan ‘Perfetto’. Secondo gli inquirenti, Passarelli era diventato un vero e proprio catalizzatore degli interessi criminali in vari settori commerciali, primo fra tutti proprio quello degli investimenti immobiliari. Dalle indagini è anche emersa una sistematica attività di sottrazione all’imposizione tributaria di ingentissime somme di denaro che venivano reinvestite in operazioni commerciali ed edilizie.

Ciononostante sia l’imprenditore sia la sua famiglia, non avrebbero dichiarato l’esistenza di alcun reddito tra il 1993 e il 2021, a dispetto dell’imponente disponibilità finanziaria, delle partecipazioni societarie e del vastissimo patrimonio immobiliare riscontrato nella loro disponibilità. Il provvedimento di sequestro è stato emesso dalla Sezione per l’Applicazione delle Misure di Prevenzione del Tribunale di Napoli su proposta della Procura partenopea.

Nel 2017, Passarelli era stato arrestato assieme ad altre 16 persone nell’ambito dell’operazione anti camorra Omphalos del Gico, coordinata dalla Dda di Napoli. L’uomo era poi stato condannato in abbreviato a 8 anni per esercizio abusivo del credito e intestazione fittizia di quote societarie e di beni, quest’ultimo reato con l’aggravante del metodo mafioso per aver agevolato vari clan camorristici.

L’inchiesta, infatti, aveva permesso di delineare come il denaro provento di estorsioni, truffe alle assicurazioni, usura e altre attività illecite di stampo camorristico (tutti reati compiuti tra il 2011 e il 2015), venisse ‘ripulito’ e poi reinvestito in attività imprenditoriali attive sia in Campania che nel Bolognese, dove aveva sede una delle sue dodici società, intestata come le altre a prestanome. Un ‘lavaggio’ reso possibile, secondo l’accusa, anche grazie alla complicità di un direttore (fino al 2013) della filiale bolognese di un istituto di credito (risultato all’oscuro ed estraneo agli illeciti) e altri ‘colletti bianchi’.

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