Bologna, Michele, il dj bionico dal cuore grande

Suona alla consolle con la mano meccanica e dà speranza a chi è nella sua stessa condizione

Michele Specchiale ama definirsi il dj bionico

Michele Specchiale ama definirsi il dj bionico

Bologna, 21 settembre 2019 - Ha una mano meccanica e il cuore da supereroe. Ma ha soprattutto una storia alle spalle degna dei migliori fumetti. Michele Specchiale ama definirsi ‘Il dj bionico’, un caso più unico che raro, e che, con ogni probabilità, non ha eguali a livello mondiale. Quel braccio, perso una ventina di anni fa in un incidente sul lavoro dal ragazzo di origine siciliana, è stato sostituito da una protesi ad alta tecnologia, assemblata e adattata al suo corpo dai tecnici del Centro protesi Inail di Vigorso (Budrio). Dalla tragedia a una nuova vita, il 43enne, nella sventura, ha trovato modo di portare avanti la sua grande passione per la musica, ma ha anche scoperto l’amore.

Lui e Daniela Vegliante, la moglie, conosciuta proprio tra le mura dell’eccellenza bolognese nella tecnologia protesica, l’altro giorno hanno festeggiato 12 anni di matrimonio. Anni passati dentro e fuori dall’istituto, a raccontare la loro esperienza a chi vive il dramma dell’amputazione di un arto e pensa che la sua vita sia finita. La mano alzata, gli occhi sul pubblico, e l’altra – quella buona – sui piatti della consolle. Si muovono veloci tra i tasti le dita in metallo di Michele Specchiale. Quel braccio meccanico che gli ha cambiato la vita è diventato un tratto distintivo, la sua «fortuna», e forse anche la sua mano ‘buona’. Vent’anni fa l’incidente. È un’episodio che segnerebbe la vita di chiunque, lei come lo ha superato? «In tutta sincerità, se potessi riavvolgere la pellicola dei ricordi, per tornare indietro prima di quell’attimo non lo farei. Non solo il braccio bionico sviluppato dal Centro Protesi di Budrio mi ha cambiato la vita, ma mi ha anche permesso di conoscere mia moglie, con la quale ho avuto due figlie». Anche lei è dovuta ricorrere alle cure del Centro quindi. «Lei ha due protesi per entrambe le gambe: una poco sotto al ginocchio, l’altra un po’ più su, insomma siamo una famiglia bionica». Quanto è difficile da accettare il dramma di un’amputazione? «Molti pensano che la vita sia finita, perché la guarigione è molto lunga, e non sanno che c’è un istituto eccellente come quello bolognese. Proprio per questo motivo, io e Daniela andiamo spesso negli ospedali a raccontare la nostra storia, per far capire ai ricoverati che, nonostante tutto, si può ricominciare». E la passione per la musica, come è arrivata? «C’è sempre stata. Già da ragazzino suonavo il clarinetto in una banda. Dopo l’incidente sono passato alla tromba, perché potevo suonarla con una mano sola. Ma ora, l’alta tecnologia della mia protesi, mi permette di usare la consolle da dj anche solo con il mio braccio meccanico, il cambiamento è stato duro, ma la pratica, e tutta la riabilitazione fatta al Centro, alla fine hanno dato i loro frutti». A proposito, come funziona l’arto? «L’invaso (l’attacco), vicino alla spalla ha quattro elettrodi che rilevano il minimo impulso muscolare. In questo modo sono in grado di controllare sia il gomito, che l’apertura e la chiusura della mano». A volte non vi capita di sentirvi addosso lo sguardo della gente? «Succede, ma noi ne andiamo fieri, le nostre protesi sono bellissime: la mia è decorata con dei tatuaggi, la gamba di mia moglie, con un bracciale di brillanti. Grazie a tutte queste personalizzazioni abbiamo imparato ad accettare noi stessi e la nostra condizione». Lei poi, è anche una celebrità del web, con quasi 18mila ‘follower’ su Instagram. «I social sono un ottimo strumento, faccio spesso delle dirette video, durante le quali ‘gioco’ proprio con il tema della disabilità. Il mio scopo è diventato quello di aiutare gli altri, è questo che mi rende felice». Se dovesse dare un consiglio a chi si trova all’inizio di un cammino così duro quale sarebbe? «Non perdetevi d’animo, perché a volte un incidente può sembrare la fine della strada, ma in realtà è solo una curva sul cammino».  

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