Mihajlovic, la lezione di Sinisa. Le lacrime degli eroi di tutti i giorni

L’Ematologia Seràgnoli del Sant’Orsola è un’eccellenza mondiale della sanità. Ricoverati ed ex pazienti raccontano: "Un bene parlare della malattia"

Il professor Michele Cavo, Sinisa Mihajlovic e la dottoressa Francesca Bonifazi

Il professor Michele Cavo, Sinisa Mihajlovic e la dottoressa Francesca Bonifazi

Bologna, 30 novembre 2019 - Anche gli eroi piangono. Ce lo ha raccontato l’epica che, di poema in poema, è giunta fino a noi. Accadeva a Pericle, seppellendo il figlio Paralo morto di peste; poi ad Achille, a Ettore, a Priamo. E non era in lacrime Odisseo-Ulisse mentre nell’isola di Ogigia si disperava del suo esilio con la ninfa Calipso? Guardando gli occhi di Mihajlovic, sono tornati alla mente Matteo Nucci e il suo libro ‘Le lacrime degli eroi’ (Einaudi). Storie di uomini che si fanno uomini (o eroi?) mostrando il loro lato più fragile. Sinisa dice: «Mai sentito un eroe, sono un uomo». L’eroismo, di Sinisa e dei malati, è quello di tutti i giorni. L’Odissea, nel suo senso più alto. Nel suo senso più umano.

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E’ la lezione di Mihajlovic, sgorgata nel giorno più difficile e che nessuno vorrebbe mai affrontare. Quello dove ci si mette in piazza con la propria fragilità, quello dove il coraggio non basta perché le emozioni sono subdole e anche uno «con le palle» alla fine ha bisogno di fermarsi, sospirare, far scivolare i goccioloni e poi ripartire, diretto come una lama in un panetto di burro, verso il nostro io: «Mi sta passando tutto per la testa». E lo sforzo di Sinisa diventa quello degli eroi di tutti i giorni, tutti i malati, perché «non si sentano meno forti se piangono, se sono disperati, non bisogna avere paura né vergognarsi».

Mihajlovic è Bologna, lo dimostra anche nella scelta dei colori dell’abbigliamento: cappello e maglione rosso, giacca e pantalone blu. Mihajlovic è il Seràgnoli, eccellenza mondiale dell’ematologia, esempio del pubblico e del privato che insieme hanno fatto grande l’Emilia: Isabella e la famiglia sono dietro il gruppo Coesia, con i progetti e i silenzi – perché i fatti valgono più delle parole – ne sono la testimonianza più veemente a Bologna. Mihajlovic è il Sant’Orsola, è il coraggio dei suoi medici, è l’orgoglio, la pervicacia, l’ostinazione, la voglia di vita dei suoi pazienti. Ma anche la frustrazione, la rabbia, la noia per quelle giornate che spesso non passano.

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Al Seràgnoli l’Ematologia «è accogliente, non è deprimente, non sembra un carcere turco come certi reparti», mi racconta A., che ha frequentato quelle stanze per un tumore. Storie di eroi di tutti i giorni, storie di uomini e di donne, per capire meglio la storia di Mihajlovic: «Ma io, rispetto a Sinisa – dice – sono stato fortunato perché, tranne durante un periodo di ricovero, le sedute che facevo erano relativamente brevi, quindi avendo conseguenze fisiche molto contenute sono riuscito a infilarle nel flusso normale della mia vita. Ho continuato a lavorare e ad avere una parvenza di vita sociale. Probabilmente sedute più lunghe o più debilitanti sarebbero state più problematiche».

I., che ha 40 anni e ha superato una leucemia mieloide acuta, racconta che il peggio «è quando ti manca l’aria e, una volta uscita, non sapevo più respirare». Poi ci sono quelle giornate in cui tutto ti dà fastidio, soprattutto quando uno «ti chiede ‘Come stai?’ e tu puoi solo dire ‘Bene’, ma in realtà ti senti morire dentro». Poi capisci «che non è finita e riparti».

A. ha invece sempre preferito «che se ne parlasse e apertamente, quindi sentirmi chiedere ‘come stai’ mi permetteva di farlo senza pressioni. Non mi piace che una malattia, per quanto seria, diventi una sorta di cono d’ombra in cui non si può mettere piede».

Poi c’è R., che la leucemia ancora non l’ha superata, e dice che adesso con Sinisa «è più facile aprirsi e raccontare, perché se l’ha fatto lui che è un campione...». Ma alla fine quello che resta è «la voglia di lottare, anche se l’infusione non è andata come speravamo».

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La lezione di Sinisa è una rivoluzione anche linguistica: le malattie si possono chiamare col loro nome, senza averne paura. L’importante è andare avanti: «Mi sono rotto le palle di piangere». Un uomo, pronto alla rivoluzione, come scriveva Oriana Fallaci: «L’unica rivoluzione possibile è quella che si fa da soli, che avviene nell’individuo, che si sviluppa in lui con lentezza, con pazienza, con disubbidienza». Quella di «Un uomo».

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