Moschea, per la Gualmini "non è una priorità"

La vicepresidente della Regione prudente sull’ipotesi di realizzare a Bologna un luogo di culto islamico

Elisabetta Gualmini, vicepresidente della Regione Emilia-Romagna (Ravaglia)

Elisabetta Gualmini, vicepresidente della Regione Emilia-Romagna (Ravaglia)

Bologna, 7 marzo 2016 - La moschea a Bologna «non è una priorità in agenda, considerato pure che la stessa comunità islamica ha detto che non si tratta di un’urgenza». Anche la vicepresidente della Regione con delega al welfare, Elisabetta Gualmini, entra nel dibattito sulla possibilità che a Bologna venga costruita una moschea, ipotesi rilanciata qualche giorno fa dall’arcivescovo Matteo Zuppi.

La moschea può attendere?

«Lo dico chiaramente – afferma la numero due di viale Aldo Moro –: non è una priorità, tanto più con tutte le problematiche e le questioni che ci sono all’ordine del giorno. E poi non mi sembra che a Bologna ci siano le condizioni per arrivare a decisioni concrete nel breve termine».

Però i fedeli musulmani in città non sono più una piccola minoranza e non a caso sotto le Due Torri esistono già più di dieci sale di preghiera. Meglio quelle che un unico luogo?

«Su questo Zuppi ha ragione, meglio avere luoghi aperti, trasparenti e pubblici dove ognuno possa professare la propria religione piuttosto che decine di sale più piccole e meno controllabili».

Quindi in via teorica una moschea prima o poi servirà.

«Se mai si dovesse costruire, bisognerebbe farla in accordo con la comunità dei fedeli musulmani e, soprattutto, chiarendo anche bene chi la finanzia, per capire se si tratta di investitori privati oppure soldi pubblici. E in questo secondo caso la questione diventerebbe senza dubbio più delicata».

Intanto c’è già chi, come il Movimento 5 Stelle o la Lega, sostiene che l’unica strada sia quella di un referendum, o comunque di una consultazione dei cittadini. Un’idea praticabile?

«Scelte di questa importanza dovranno interessare tutti i cittadini e credo che ogni forma di consultazione abbia qualcosa di positivo, purché dietro non ci siano volontà di creare crociate e guerre di religione. Se lo si fa con spirito di integrazione e partecipazione perché no?».

A rendere il dibattito meno sereno, forse, contribuisce anche il fatto che siamo in campagna elettorale.

«Vero, non è uno dei temi più appetibili quando ci si avvicina al voto, perché è un argomento che polarizza molto il dibattito».

Per questo sia il sindaco sia la comunità islamica bolognese hanno subito messo in chiaro che la questione, eventualmente, verrà affrontata dopo il voto. E che qualsiasi percorso dovrà passare dalla partecipazione della comunità bolognese.

«Fare partecipare i cittadini è l’abc. Nel farlo, però, la cosa importante è mettere sul piatto un dibattito di buonsenso, pacato che non si radicalizzi tra opposti estremismi. In tempi come questi ci vuole massima trasparenza e coinvolgimento».

Ma non sarebbe meglio aspettare che il Parlamento si occupi di creare una legislazione nazionale su un tema così sensibile?

«Sostenere questa posizione mi sembra solo un modo per spostare il problema e una legislazione a livello nazionale non è necessaria. Altre città si sono già mosse, ne hanno discusso e hanno trovato delle soluzioni».

 

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