Moschea Bologna, Zuppi denuncia. "Marea di lettere anonime contro di me"

In un’intervista l’arcivescovo rivela di essere stato preso di mira per essersi schierato a favore

L’arcivescovo di Bologna, Matteo Maria Zuppi: "Tante lettere contro di me" (Foto Serra)

L’arcivescovo di Bologna, Matteo Maria Zuppi: "Tante lettere contro di me" (Foto Serra)

Bologna, 22 febbraio 2019 - Una ‘marea’ di lettere anonime contro l’arcivesco di Bologna Maria Matteo Zuppi. È quanto racconta la guida spirituale dei cattolici bolognesi a Plus Radio, emittente online della rete studentati Camplus. Rivela Zuppi: «Mi sono arrivate una marea di lettere anonime non molto gradevoli». La ragione è di aver accolto con favore il progetto di costruire una moschea sotto le Due Torri.

L’arcivescovo però tranquilizza: «Non me la prendo più di tanto». Poi spiega le sue ragioni: «Una delle prime cose che mi chiesero quando arrivai a Bologna è se avevo problemi con la moschea. Io dissi che, pur non conoscendo il pregresso di Bologna, venivo da una città dove c’è la moschea come ci sono altri luoghi di culto. Quindi non vedevo il problema». Una dichiarazione che però non fu accolta positivamente da tutti: «Non l’avessi mai detto, incominciò un ‘can can’ perché il ‘vescovo vuole la moschea’».

D’altronde è un’epoca in cui l’odio si manifesta spesso, sempre secondo l’arcivescovo, che non risparmia critiche ai meccanismi che dominano i social e la rete: «L’odio c’è, è innegabile, a volte non ci si rende conto di quello che si scrive. Si manifesta di più di quello che si pensa: c’è il senso di schierarsi, di dover stare da una parte o dall’altra». Prosegue Zuppi: «Non sono su nessun social, l’unico è WhatsApp, non so se possa essere definito un social, lo uso perché è comodissimo». Le altre piattaforme invece non lo appassionano, seppur non ne fa un male assoluto: «Non ci sono mai entrato. Ne avevo qualche diffidenza, all’inizio, che mi è rimasta anche se sono uno strumento straordinario di contatto, di partecipazione, di comunicazione. Possono essere mezzi utili, ma anche pericolosi: dipende dall’uso, non li demonizzerei». Però avverte: «Sono un problema se divengono l’essenza del nostro essere e quindi il nostro rischia di trasformasi in un ‘vivo perché comunico, ma non comunico quello che vivo’»

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