BENEDETTA CUCCI
Cronaca

Moto, tortellini, idrolitina e altre imprese. Grandi: "Un patrimonio industriale fertile"

La direttrice del museo traccia un bilancio e guarda al futuro: "L’imprenditoria non è una questione maschile, abbiamo tante donne. Presto una mostra sulle grandi bolognesi, ma anche sull’insegnamento della fisica. È un mondo che va oltre gli addetti ai lavori".

Moto, tortellini, idrolitina e altre imprese. Grandi: "Un patrimonio industriale fertile"

La direttrice del museo traccia un bilancio e guarda al futuro: "L’imprenditoria non è una questione maschile, abbiamo tante donne. Presto una mostra sulle grandi bolognesi, ma anche sull’insegnamento della fisica. È un mondo che va oltre gli addetti ai lavori".

Nella ex fornace da laterizi Galotti della seconda metà dell’Ottocento, a fianco del Navile, tra i sostegni Battiferro e Torreggiani, ha la sua sede dal 1994 il Museo del Patrimonio Industriale, oggi al centro del nostro viaggio nei musei civici della città. Città dell’acqua e della seta, città della rivoluzione industriale e distretto meccanico ed elettromeccanico: ecco cosa scopre il visitatore. Che, giungendo alla meta, periferia a nord della città accanto al rione Bolognina e raggiungibile anche in bicicletta con una deliziosa passeggiata sul Navile, si ritrova in un contesto da cartolina vintage. Ecco un museo dall’identità fortemente maschile, va detto, guidato però da Maura Grandi. E lei la direttrice, formazione da medievista, una passione per la Bologna delle acque, un lavoro quotidiano tra le grandi e affascinanti macchine, un debole per il Mulino da seta e un progetto nel cassetto: raccontare l’altra storia di Bologna, quella delle donne che hanno fatto l’industria.

Direttrice Grandi, come sta il suo museo?

"Sta bene, negli anni è cresciuto e ha raggiunto l’obiettivo di dare, nel panorama degli istituti culturali cittadini, pari dignità alla cultura industriale del nostro territorio rispetto, perché è essenza della nostra identità".

Questa memoria industriale è viva nei bolognesi?

"Tocca soprattutto i bolognesi coinvolti nel sistema industriale, imprenditori e maestranze. Bisogna dire che abbiamo iniziato a lavorare molto sull’industria dell’automazione e del packaging e questo è ben recepito. Ma da sempre lavoriamo per raggiungere anche il pubblico di non addetti, all’inizio è stato un po’ faticoso, avevamo molte scuole, cosa che ancora ci caratterizza con 900 gruppi che ci visitano ogni anno, e un po’ meno utenza libera. Poi i bambini sono cresciuti e il pubblico si è allargato, ma siamo ancora un museo molto educativo".

Quando nasce la Bologna dell’automazione?

"Nel 1923, quando viene fondata da Gaetano Barbieri l’A.C.M.A che nel 1929 progetta l’A.C.M.A. 713, la prima macchina automatica del nostro territorio, il pezzo forte del museo, che va a sostituire il lavoro di impacchettamento fatto fino a quel momento dalle donne, e servirà per impacchettare l’acqua di Vichy prodotta dal cavalier Gazzoni e detta l’Idrolitina".

Come si fa a fare una mostra che richiami anche un pubblico lontano da questo mondo?

"Un esempio: le moto bolognesi, prodotto tipico della nostra identità industriale. Qui ci sono nomi nobili, Ducati, Maserati, Lamborghini, i cugini della Ferrari. Dal 2002 abbiamo fatto sette mostre portando i modelli più importanti, ma soprattutto ricostruendo le biografie dei tecnici che sono stati il vero elemento di successo di questo mondo. E sono arrivati anche visitatori stranieri, perché il nostro limite, va detto, è quello di essere distante dal centro e dai flussi turistici internazionali. Il prossimo ottobre parteciperemo alla fiera Moto e auto d’epoca in città, e con il mondo del collezionismo organizzeremo un percorso espositivo sui primi cinquant’anni della motoristica bolognese, quindi dei primi prototipi".

Questo è un museo molto maschile?

"Certamente lo è. Ma, nel lavoro di orientamento scolastico attorno a tecnica e carriera imprenditoriale, lavoriamo anche su un orientamento di genere, perché esiste una storia industriale fatta dalle donne".

Chi sono queste donne?

"Le faccio solo un esempio, quello di un gruppo di ragazze che nel 1962 fece una battaglia importante per potersi iscrivere all’istituto tecnico Aldini Valeriani, fino a quell’anno proibito. Poi c’è una donna come Gilberta Minganti, che alla morte del marito prende in mano le redini dell’azienda e la porta ad essere conosciuta in tutto il mondo, grazie a una grande gestione".

Non titoli, ma capacità di fare?

"Sì. E di queste figure, generalmente le mogli, le sorelle, anche le madri, ne abbiamo incontrate tante. Solitamente non hanno un ruolo riconosciuto e specifico, ma gestiscono con competenza. C’è anche Maria Corazza, della Corazza Macchine automatiche, che ci ha raccontato come l’idea di diventare imprenditori nel settore del confezionamento, facevano dadi da brodo, nasce proprio da lei".

Tutto questo merita una mostra.

"E ci sarà. Sarà sull’imprenditoria femminile… le dieci donne che hanno fatto l’industria, è tutta da progettare. Oggi parlare di questo tema è importante, e non si è fatto prima perché i tempi non erano maturi. Questo museo ragiona sì sul passato, ma anche sulle possibili vie per il futuro, e la nostra impresa ha bisogno di presenza femminile qualificata. Prima, però, nel 2026, arriverà la mostra sull’insegnamento della fisica a Bologna e anche qui il fine sarà quello di avvicinare le nuove generazioni, soprattutto le ragazze".