Muratore tutto lavoro e jihad. Inviava i suoi soldi ai terroristi

Il bosniaco di 52 anni, insospettabile, ha spedito nel tempo 54mila euro. Arrestato dai carabinieri del Ros: è ai domiciliari con braccialetto elettronico

Arrivato in Italia dai Balcani nel ’92, si era barcamentato fino ad aprire una piccola ditta edile individuale. Lavoro e casa, per mandare tutti i soldi guadagnati in Bosnia. Un po’ alla famiglia, rimasta in ex Jugoslavia. E un bel po’, circa 54mila euro in meno di 4 anni, per sostenere la causa. Ossia, la jihad. L’uomo, un cinquantaduenne bosniaco residente in città, è stato arrestato ieri dai carabinieri del Ros, al termine di una complessa indagine che ha permesso di circostanziare l’accusa nei confronti dell’imprenditore edile, ritenuto un attivo finanziatore delle cellule terroristiche islamiste attive tra ex Jugoslavia e Albania.

Muratore tutto lavoro e jihad
Muratore tutto lavoro e jihad

Per lui, difeso dall’avvocato Alessandro Cristofori, il gip Alberto Gamberini ha disposto gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico. Le indagini dei Ros sono partite dall’analisi dei circuiti radicali di matrice jihadista presenti e molto attive anche nei Balcani. Attraverso il monitoraggio di questo fertile ambiente, è emersa la figura del cinquantaduenne che praticava la cosiddetta ‘jihad con proprietà’, ossia il sostegno attivo, attraverso il finanziamento costante, delle cellule terroristiche del suo paese.

Andando a ritroso nella vita di questo muratore incensurato e insospettabile è emerso come il suo percorso di radicalizzazione fosse iniziato già da diversi anni, almeno dal 2014, data in cui sono accertati i primi trasferimenti di denaro all’estero, attuati attraverso servizi di money transfer. Un avvicinamento all’Islam più radicale dovuto all’incontro con Hussein ‘Bilal’ Bosnic, l’imam del terrore, il predicatore bosniaco che avrebbe plagiato centinaia di islamici, soprattutto nell’area dei Balcani, spingendoli a partire verso i teatri di guerra. E che, fino a dicembre 2013, era stato in ‘missione di reclutamento’ a nord Italia, per trovare combattenti da inviare in Iraq e in Siria, al fianco dei miliziani del Daesh. Anche il cinquantaduenne era quindi finito tra le persone plagiate dal folle predicatore wahabita, un passato come combattente di ‘Al Mujahid’, la brigata composta da islamici che negli anni Novanta operò durante la guerra in Bosnia. Non volendo contribuire alla causa attraverso la ‘jihad della vita’, ossia compiendo direttamente attentati, né dedicarsi alla propaganda dello Stato Islamico sui social, con la ‘jihad della penna’, il bosniaco avrebbe deciso di contribuire economicamente, versando alla causa buona parte dei proventi del suo lavoro. Nessun contributo, stando a quanto emerso dalle indagini, arrivava da fonti illecite. I trasferimenti non erano intestati direttamente ai reali destinatari delle transazioni, ma a terze persone che, una volta ritirato il denaro, lo consegnavano materialmente loro. Quando l’indagato non riusciva a effettuare in prima persona i versamenti, incaricava amici, risultati del tutto estranei all’idea radicale coltivata dal ‘jihadista della proprietà’ e anche ignari del motivo di quei trasferimenti di denaro. Il cinquantaduenne, infatti, non scriveva nulla del suo pensiero sui social, né seguiva pagine legate al pensiero jihadista. Un invisibile della causa, tradito dalla strada segnata dai soldi. Lunedì l’interrogatorio di garanzia.

 

 

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