Narcolessia, sintomi e diagnosi. Cos'è e come si cura questa malattia rara

Il disturbo, al centro di un convegno a Bologna, si manifesta attraverso una sonnolenza diurna particolare. In Italia colpisce circa 4 persone ogni 10mila abitanti

Studi sulla narcolessia

Studi sulla narcolessia

Bologna, 30 novembre 2019 - Malattia rara e difficile da diagnosticare, anche se i sintomi sono molto semplici da riconoscere, ma spesso vengono sottovalutati o suggeriscono altre diagnosi, la narcolessia è al centro di un appuntamento scientifico, organizzato da Giuseppe Plazzi, docente di Neurologia all’Alma Mater, che si tiene al Dipartimento di Biochimica Giovanni Moruzzi dell’Ateneo.

Diagnosi e Trattamento Multidisciplinare della Narcolessia. Confini, evoluzione e trattamento delle ipersonnie nell’adulto e nel bambino è il tema al centro del VI seminario voluto dal neurologo che è anche presidente dell’Associazione Italiana di Medicina del Sonno (Aims) e responsabile del Centro di Medicina del Sonno dell’IRCCS - Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna

La narcolessia si manifesta attraverso una sonnolenza diurna particolare; chi ne è affetto, nel corso della giornata fa sonnellini brevi e ristoratori, durante i quali spesso sogna, con il rischio di avere subito dopo delle allucinazioni. Pur essendo episodi di sonno brevi, le persone narcolettiche raggiungono rapidamente la fase Rem che invece generalmente compare dopo una o due ore di sonno.

In Italia, la narcolessia colpisce circa 4 persone ogni 10mila abitanti: i pazienti a cui è stata diagnosticata e trattata la patologia sono circa mille, nonostante la stima approssimativa di un sommerso di circa 24mila casi. La narcolessia viene scambiata per epilessia, psicosi, schizofrenia, depressione, disturbi del movimento o altro. Oltre al problema delle diagnosi errate, c’è quello del ritardo diagnostico, confermato dai risultati di numerose ricerche. I due centri europei più all’avanguardia per la cura e la ricerca sulla Narcolessia sono l'Università di Bologna e quella di Montpellier.

Narcolessia, come diagnosticarla nei bambini

La narcolessia in età pediatrica è diversa da quella in età adulta. Anzitutto, nei bambini la sonnolenza può più facilmente essere scambiata come svogliatezza, scarso rendimento, ma anche irritabilità. Il punto che fino ad oggi ha costituito una discrepanza nell’approccio alla malattia tra adulti e bambini è stato quello dei criteri diagnostici.

Per i primi, gli specialisti erano già concordi su due parametri: la polisonnografia notturna e il test delle latenze multiple dell'addormentamento. Questi strumenti consentono di individuare una particolare velocità di addormentamento, sintomo di una sonnolenza patologica e caratteristica principale della narcolessia: nel paziente narcolettico, infatti, l’addormentamento avviene direttamente in fase RemM, quella dei sogni, che invece compare normalmente dopo una o due ore. Per l’età infantile non si aveva certezza sulla validità dell’utilizzo dei medesimi criteri.

“Il lavoro realizzato dall’Università di Bologna e di Montpellier, pubblicato nel 2019 sulla rivista Neurology, organo della American Academy of Neurology, ha dimostrato che anche per il bambino si possono adottare gli stessi strumenti utilizzati nell’adulto, ossia la polisonnografia notturna e il test delle latenze multiple dell'addormentamento, con criteri numerici solo leggermente modificati – sottolinea Plazzi -. Sino ad oggi, in assenza di criteri validati, anche in ambito pediatrico venivano utilizzati per analogia quelli dell'adulto, seppure con molte perplessità circa la loro validità. Il lavoro pubblicato su Neurology risolve ogni dubbio e ambiguità, stabilendo nuovi parametri limite per il bambino e l’adolescente. Questo passo è di grande rilevanza, anche alla luce del grande ritardo diagnostico della narcolessia, una malattia che per lo più insorge in età infantile o adolescenziale e viene identificata in media dopo circa 15 anni dall’esordio dei sintomi”.

Cataplessia: perdita di tono muscolare

Oltre al rapido raggiungimento della fase Rem, una fondamentale caratteristica della narcolessia è la cataplessia: un fenomeno scatenato da emozioni positive come pianto, riso, gioia, e caratterizzato dalla perdita del tono muscolare soprattutto al viso, dove si manifesta con un evidente abbassamento delle palpebre e che, se generalizzata, può provocare anche la perdita di equilibrio, far cadere un oggetto dalle mani, fino alla caduta a terra.

Esistono due tipi di narcolessia nella classificazione internazionale dei disturbi del sonno: quella con deficit di ipocretina o orexina (un peptide che ha nomi diversi ma indica la stessa molecola), che nel 99,9% dei casi è associata a cataplessia, e quella senza bassi livelli di orexina, che invece è sempre senza cataplessia. Nel bambino piccolo, sotto i 10 anni, prevale la narcolessia con cataplessia. Il bambino con narcolessia e cataplessia è diverso dall’adulto, anzitutto nell’aspetto motorio: la cataplessia non è scatenata esclusivamente dal riso, ma la condizione di mollezza e di perdita di tono muscolare può essere continua, fino ad arrivare ad una tipica espressione del viso definita “faccia cataplettica”. Da qui un’attenzione particolare ai bambini.

Narcolessia: i farmaci

Il 2019 ha visto il consolidamento del trattamento della narcolessia. L’Italia si è collocata a livello europeo fra le nazioni con il maggior numero di farmaci correttamente registrati a disposizione dei pazienti con narcolessia. “Tuttavia, per quanto riguarda l’accessibilità, resta il problema che in Italia due su tre di questi farmaci sono ancora in fascia C, cioè teoricamente a pagamento – aggiunge Plazzi -. Inoltre, per il bambino, i farmaci ufficialmente accettati vengono dati fuori indicazione, anche se sia l’agenzia americana FDA che l’EMA hanno da poco registrato il primo di questi farmaci e tra poco ne seguiranno altri. Questa situazione genera un paradosso: la narcolessia è una malattia rara e i pazienti avrebbero diritto a curarsi gratuitamente. Tuttavia ciò non avviene in tutti i casi, anche a causa di una prassi burocratica molto pesante che a volte scoraggia sia il medico che il paziente”.

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