‘Ndrangheta Bologna, maxi sequestro da 8,5 milioni e misure cautelari. Tre nei guai

L’operazione della Finanza: “Responsabili di intestazione fittizia di beni per agevolare l’organizzazione mafiosa". Sotto la lente la tabaccheria del centro commerciale Pilastro

La conferenza stampa della Finanza

La conferenza stampa della Finanza

Bologna, 28 novembre 2018 - Un filo rosso della criminalità organizzata che collega Reggio Calabria e Bologna. È quello che ha permesso di sgominare la maxi operazione della Guardia di Finanza, in collaborazione con lo Scico (Servizio centrale investigazione criminalità organizzata) e i comandi provinciali di Reggio Calabria e Frosinone, denominata ‘Nebbia calabra’. A essere raggiunte da altrettanti misure cautelare sono state tre persone (uno in carcere, uno ai domiciliari e un obbligo di dimora), “tutte contigue alla cosca Iamonte di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria) e ritenute responsabili del reato di intestazione fittizia di beni, con l’aggravante del fine di voler agevolare l’attività dell’organizzazione mafiosa”.

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L’operazione, inoltre, ha permesso il sequestro di beni per un valore complessivo di circa 8,5 milioni di euro: appartamenti, garage, terreni, locali commerciali, capannoni industriali e quote di società, tutti beni dislocati tra Bologna, Sala Bolognese, Zola Predosa, Cave (Rimini), Fiumicino (Roma) e Montebello Ionico (Reggio Calabria). Nella lista c'è anche una rivendita di tabacchi nel centro commerciale Pilastro. Con l’obiettivo di “fare nuovamente luce sulle modalità di infiltrazione nel tessuto economico delle organizzazioni malavitose”, il meticoloso lavoro delle forze dell’ordine si è concentrato sulle attività illecite svolte da un noto imprenditore di origini calabresi, operante nel settore dell’autotrasporto e trapiantato in città ormai dal 2000.

Un soggetto che, come confermano le attività investigative  e il lavoro del Gip, “è risultato essere in intensi rapporti personali e di affari con soggetti di primo piano della criminalità organizzata calabrese”. Una fitta rete schermante fatta di prestanome e società fittizie, sgominata grazie a un minuzioso lavoro fatto di accertamenti bancari, patrimoniali, intercettazioni telefoniche e soprattutto ambientali, con gli agenti dello Scico che hanno permesso di ricoprire di dispositivi per l’intercettazione l’intera abitazione dell’imprenditore mafioso.

“La continuità di questi rapporti con la 'Ndrangheta è stata accertata sia dalle dichiarazioni due collaboratori di giustizia, che dall’intensa attività investigativa sui flussi patrimoniali e il network di società fittizie - chiarisce il colonnello Luca Torzani -. Le intestazioni fittizie nascevano dall'esigenza, per l'uomo, di non essere raggiunto da misure di prevenzione patrimoniali, essendo l’imprenditore già stato arrestato nel  2013 per reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, salvo poi essere rilasciato per assenza di prove. Bisogna evidenziare anche le capacità imprenditoriali di questo soggetto: tra i beni sequestrati, infatti, risulta anche un grande capannone industriale adibito a centro delle attività logistiche”.

Particolarmente significativo è l’esempio della tabaccheria all’interno del centro commerciale “Pilastro”, fittiziamente intestata alla figlia dell’imprenditore. Gli accertamenti avrebbero permesso di dimostrare come, sempre secondo il Gip, “parti considerevoli della provvista impiegata per l’acquisizione siano riconducibili a versamenti operati da soggetti di origini calabresi residenti in Lombardia, contigui alla cosca della ‘Ndrangheta di Desio, collegata ai Iamonte”.

“Un’operazione importante e soddisfacente - sottolinea il comandante provinciale di Bologna Luca Cervi -, che dimostra come la criminalità organizzata sia particolarmente attiva in quei territori dove l’economia è trainante, attraverso intestazioni fittizie e schermi societari che inquinano il tessuto locale”. Contestualmente all’esecuzione dei provvedimenti cautelari, sono ancora in corso numerose perquisizioni che hanno richiesto l’impiego di oltre 100 militari in tutto il Paese.

“I mafiosi sono costretti a correre a ripari: le loro attività vengono tampinate in tutto il Paese e così hanno bisogno di trovare persone terze, a loro scollegate, a cui intestare beni o società - spiega il comandante Andrea Pecorari dello Scico -. C’è grande soddisfazione dopo anni di impegno, ma ora si pone un problema importante: se i reati sono di questa natura, nessuna area del nostro Paese può ritenersi immune dal fenomeno”.

 

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