’Ndrangheta, sequestrati beni per 18 milioni

La Finanza accusa l’imprenditore Alberto Daniele Pizzichemi, 52 anni, residente a Zola, di gestire gli interessi della cosca degli Iamonte

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di Nicoletta Tempera

Quel telefono, che durante l’arresto del novembre 2018 aveva tentato invano di nascondere, ha svelato un mondo alla Guardia di Finanza. Un mondo fatto di investimenti in società energetiche in Romania, conti in Svizzera, società intestate a prestanome. Giri di denaro riconducibili, secondo le fiamme gialle, alla potente cosca di ’ndangheta Iamonte, a cui Alberto Daniele Pizzichemi era vicino. Un ‘santista’, come lo descrivevano i collaboratori di giustizia che lo avevano conosciuto. A carico dell’uomo, 52 anni, che dalla Calabria aveva trasferito tra Bologna e Zola il suo impero economico, il gip Alberto Gamberini ha disposto il sequestro di beni per 18 milioni, accogliendo la richiesta per il suo socio più fidato, il consulente finanziario Gianfranco Puri, 62 anni, di Bolsena, degli arresti domiciliari. L’indagine condotta dal Gico della Guardia di Finanza, coordinata dalla Dda con l’aggiunto Francesco Caleca e il pm Flavio Lazzarini, è culminata con l’esecuzione del sequestro e della misura a carico di Puri. Un’operazione che ha visto impegnati 50 militari tra le province di Milano, Trento e Reggio Calabria, oltre che in Romania, Bulgaria e Svizzera, per ‘attaccare’ i beni riconducibili all’indagato e, per suo tramite, alla ’ndrina Iamonte di Melito Porto Salvo, con la sua ‘locale’ di Desio, nel Milanese.

L’inchiesta è direttamente collegata all’operazione Nebbia Calabra, che aveva portato al sequestro di una tabaccheria al Pilastro, intestata alla figlia di Pizzichemi, e poi a capannoni, abitazioni e società dell’indagato a Zola (per un valore complessivo di 8 milioni) e alla condanna del cinquantaduenne nel 2020. Nel corso della perquisizione in occasione dell’arresto di Pizzichemi nel 2018, erano stati trovati nel suo cellulare tutta una serie di documenti che, per l’accusa, dimostrano la mole di affari che l’uomo gestiva, con la complicità di Puri, legale rappresentante di buona parte delle società riconducibili al calabrese. Un sistema che, secondo la Procura, aveva lo scopo di "eludere l’eventuale applicazione in danno a Pizzichemi di misure di prevenzione patrimoniale antimafia". Il tutto teso a "favorire l’organizzazione mafiosa ’ndrangheta", operando "come intermediario per la individuazione di risorse finanziarie di origine illecita in attività imprenditoriali (anche da avviare in paesi stranieri) che garantissero importanti margini di profitto".

In questo contesto, Pizzichemi - che è stato assolto in via definitiva dall’accusa di associazione mafiosa nel 2015 - avrebbe gestito i suoi affari senza mai figurare in prima persona, appoggiandosi sia a Puri che a un altro socio deceduto nel corso delle indagini. In particolare, il meticoloso lavoro dei finanzieri ha permesso di scoprire la complessa serie di operazioni che aveva portato all’acquisto di due centrali idroelettriche in Romania da parte dell’indagato, attraverso la società ‘Time Solution’, ai cui vertici era stato messo Puri, utilizzata per l’acquisto delle società Alto Avisio, Alto Energy e Vialtero, detenute da altri due trentini, a loro volta indagati. Le due centrali e il capitale sociale della Time Solution sono stati sequestrati, così come gli appartamenti di lusso in Bulgaria e i conti in Svizzera, con 15 milioni di dollari, sempre riconducibili agli affari di Pizzichemi.

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