
’Ndrangheta, via al maxi processo. Minacciarono anche Ballotta
La ’ndrangheta calabrese aveva messo radici in Romagna. È iniziato ieri il filone ravennate (l’altro, a Modena, partirà a fine mese) del maxi processo che, chiusa l’inchiesta della Dda di Bologna, vede 34 imputati accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere, autoriciclaggio, bancarotta fraudolenta, usura lesioni, minacce ed estorsione. Tribunale blindato fino a dicembre, con udienze a tambur battente. Soltanto due, ieri, gli imputati presenti, altri erano in video collegamento dal carcere.
A presiedere il tribunale è Cecilia Calandra – a latere i colleghi Federica Lipovscek e Cristiano Coiro –, già giudice d’appello del processo Aemilia (poi sottoposto a scorta), di cui questo è una costola. Fitto l’elenco delle parti civili, a partire dalle due imprese che avevano subito l’assalto ’ndranghetista, con sede a Bagnacavallo e Cervia. A chiedere i danni è anche un volto noto, il 59enne ex portiere di Serie A Marco Ballotta, nato nel Bolognese, vittima nel 2021 di minaccia aggravata dalle modalità mafiose dopo essersi rivolto a un intermediario per coprire un debito di 250mila euro con una banca. Gli imputati, secondo l’accusa coordinata dal Pm di Bologna Marco Forte, spolpavano società tramite sistematiche evasioni fiscali. Tutto ruotava attorno a una serie di investimenti illeciti, molti dei quali avvenuti in piena pandemia, su aziende in difficoltà operanti nei settori della panificazione e della ristorazione anche nei comuni di Imola, Cesenatico e Cervia. Al vertice del sodalizio spicca il 35enne Francesco Patamia, ritenuto col padre Rocco promotore del piano criminoso. A Cervia, a operare per l’organizzazione sarebbe stata famiglia Serra, originaria di Vibo Valentia: Saverio Serra, 53 anni, la moglie Annunziata Gramendola, 48 anni (figlia di un prestanome per il clan Mancuso), e il figlio 23enne Leoluca.
Lorenzo Priviato