Nonno Rossi Bologna, bancarotta pilotata. Due arresti

Ai domiciliari i gestori dello storico ristorante, fino a un anno fa vicino all’aeroporto. L’accusa della Finanza: "Evasi oltre 750mila euro"

L’indagine è stata condotta dal nucleo Economico-finanziario della Guardia di finanza

L’indagine è stata condotta dal nucleo Economico-finanziario della Guardia di finanza

Bologna, 4 giugno 2020 - Una serie di fallimenti a catena e un debito contratto in 18 anni con l’Erario pari a 6,7 milioni di euro. Per la Guardia di Finanza, l’ultima casella di questa scacchiera fatta di società create e di volta in volta svuotate a favore delle nuove, lasciando anche creditori a secco e dipendenti senza stipendio, è stato il ristorante Nonno Rossi.

Non più con vista sull’aeroporto, ma da circa un anno trasferito a Pontecchio Marconi, il ristorante, che in quattro anni ha accumulato 750mila euro di debiti con l’Erario, è stato posto sotto sequestro dalle Fiamme Gialle, che hanno arrestato i due gestori.

L’indagine, che ha preso le mosse dal fallimento della Nonnorossi Srl, una delle società che dal 2011 gestivano lo storico Nonno Rossi, ha portato ieri ai domiciliari i coniugi Mario Simoni, di 56 anni, e Marina Marchesini, di 54, accusati di di bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Anche le quote societarie sono state poste sotto sequestro preventivo e l’attività affidata a un amministratore.  

Per dettagliare quello che viene descritto dagli investigatori, coordinati dal procuratore aggiunto Morena Plazzi, come un "articolato disegno criminoso", bisogna tornare indietro di 18 anni, al febbraio del 2001, quando la coppia costituisce la Break fast Srl, che si occupa della gestione di bar e mense in diverse caserme e strutture militari dislocate tra città e provincia. Questa società, come ricostruito dai finanzieri, sarà la prima delle otto costituite dai coniugi a fallire: di seguito, quella che viene definita dal gip Francesca Zavaglia come una condotta caratterizzata da "spregiudicatezza e sistematicità", porterà al fallimento di altre cinque Srl.

"Infatti – scrive il giudice, motivando le misure –, le varie vicende societarie che hanno riguardato gli indagati sono tutte contraddistinte da un analogo modus operandi, caratterizzato dall’accumulo di debiti verso l’Erario nella gestione di aziende tutt’altro che inoperative (con assai verosimile occultamento di ricavi su conti personali) e inesorabile fallimento delle medesime".  

In sostanza, secondo l’accusa, Simoni e Marchesini avrebbero finanziato la gestione della loro attività non chiedendo crediti in banca o con il finanziamento da parte dei soci, ma tramite la sistematica omissione del pagamento di tasse e Iva. Arrivando a far fallire la società di volta in volta utilizzata, senza fermare però l’esercizio di ristorazione che veniva affidato a una nuova società di gestione.

Questo sarebbe stato possibile perché, come emerso nel corso delle indagini, la struttura societaria sarebbe stata ideata "in funzione della realizzazione del piano criminale". Ossia separando, attraverso la stipula di contratti di affitto d’azienda, la gestione del ristorante, a opera delle società che accumulavano i debiti, dalla proprietà, intestata invece a un prestanome, sempre riconducibile agli indagati. In questo modo, malgrado le società fallissero, l’azienda ‘madre’ risultava inattaccabile dai creditori.

Dal 2011, anno in cui i coniugi hanno acquistato con la società Ramina Srl il ristorante dalla famiglia Rossi, che lo aveva fondato nel ’33, si sono succedute nella gestione la R.S. Srl e la Nonnorossi Bologna Srl, dichiarata fallita nel 2017, con debiti pari a 790mila euro, di cui 582.710 con l’Agenzia delle Entrate, 191.326 con i fornitori e 16mila con i dipendenti.

Scrive il gip: "Dopo aver dolosamente creato, mediante sistematica omissione del pagamento di imposte dirette e Iva, nonché delle ritenute fiscali e previdenziali, ingentissimi debiti fiscali e contributivi" a carico della Nonnorossi Srl, "riportavano a una terza società, La Ramina Srl, la gestione dell’azienda con la risoluzione anticipata e immotivata del contratto in essere e così cagionavano il fallimento della società volontariamente privata dell’unica fonte produttiva di reddito a favore della nuova impresa appartenente agli stessi amministratori".

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