Note di Napoli da Caruso a Gomorra

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Dal neomelodico alla colonna sonora di Gomorra, dal funk rock degli anni ’70 alle riletture per la pista da ballo dei Nu Genea, il napoletano è l’unico dialetto in Italia dal respiro globale. Un’avventura artistica e sociale affascinante raccontata nel libro Storia della canzone napoletana, del musicologo Pasquale Scialò, che presenta il volume oggi all’Auditorium Biagi (Sala Borsa, ore 18). Valeria Sabato interpreterà una selezione di brani del repertorio partenopeo e bolognese, a iniziare da Caruso, di Lucio Dalla. La serata è in memoria di Serafino D’Onofrio, presidente AICS, scomparso di recente.

Scialò, il libro chiude una ricerca sulla canzone napoletana, iniziata nel 2017.

"Dopo aver esplorato le origini della canzone napoletana, che affondano nel la prima metà dell’800, con la pubblicazione dei Passatempi musicali, di Guglielmo Cottrau, arriviamo a oggi. Lo sviluppo a Napoli di un suono ‘locale’, di una scrittura dialettale, è diventata parte della nostra identità, contribuendo a far conoscere, proprio per le vie del ‘pop’, lo straordinario patrimonio culturale della città".

Lei parla di identità.

"Sì, ma è una identità che è all’opposto dell’idea di pura conservazione. E’ una espressione artistica fluida, permeabile, capace di assorbire infinite suggestioni e di porre Napoli al centro di una dimensione mediterranea, dove il dialogo porta allo sviluppo di espressioni sempre diverse, originali, in linea con i tempi".

Con una grande diversità di linguaggi.

"Pensiamo a quello che è successo negli anni 70, con il funk, con l’assimilazione di suoni che venivano dalla musica afro americana, e a quello che avviene oggi con il rap. C’è, da parte delle giovani generazioni un grande rispetto per le radici, ma anche la consapevolezza che bisogna assimilare la modernità per fare della canzone napoletana materia viva".

Quello che fece Dalla con Caruso.

"Caruso è una delle canzoni più famose, ed è cantata in napoletano. Dalla ha avuto il merito di creare una composizione originale che gioca con le radici, citando brani del repertorio tradizionale come Dicintecello vuje e portando l’ascoltatore in un mondo magico, una Napoli che sfugge alla collocazione temporale".

Come si caratterizza oggi la canzone napoletana?

"Sempre di più si fa espressione della multiculturalità della nostra epoca. Torna in classifica con il rap, fa ballare con gli strumenti elettronici, è la colonna sonora di una città che ha fatto dell’apertura agli altri il suo segno caratteristico. Pensiamo a un brano simbolo, O sole mio, che fu scritto intorno a un ritmo di habanera, che arriva da Cuba. Un suono esotico, lontanissimo da quella tradizione, che ha ispirato la canzone napoletana più famosa al mondo".

Pierfrancesco Pacoda

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