Toto ministri: le carte bolognesi Piantedosi e Bernini

L’ex prefetto in lista per il Viminale, dove è già stato capo di gabinetto con Salvini. La senatrice nel risiko per la presidenza del Senato, o per un ministero

Matteo Piantedosi, in lizza per il ministero dell'Interno

Matteo Piantedosi, in lizza per il ministero dell'Interno

Anche Bologna ha le sue carte da giocare al tavolo del nuovo esecutivo di centrodestra. Il fatto che le Due Torri siano una delle ultime roccaforti rosse in Italia, infatti, non impedisce che diverse personalità politiche nate sotto i portici – o che qui hanno vissuto e lavorato per decenni – siano in queste ore nel calderone del toto-ministri. Il nome più accreditato di un dicastero, al momento, è quello di Matteo Piantedosi, 59 anni, prefetto di Roma, che a Bologna ha iniziato il suo percorso dentro le istituzioni a fine anni ’80 e che nella nostra città ha lasciato un pezzo di cuore. Anzi, qualcosa di più.

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Piantedosi, infatti, è stato commissario di Palazzo D’Accursio ai tempi di Annamaria Cancellieri nel 2010 (con deleghe alla Sicurezza Urbana, agli Affari Istituzionali ed agli Enti e Società partecipate) e prefetto nel biennio 2017-2018, anno in cui si è definitivamente trasferito nella Capitale con il ruolo prima di capo di gabinetto proprio al Viminale – con ministro Matteo Salvini – e poi con quello di prefetto della città eterna, ruolo che tuttora ricopre. Il legame con Bologna, però, è sempre rimasto fortissimo,come ha testimoniato lo stesso Piantedosi in più occasioni. Ora il suo nome è tra i più accreditati per prendere il posto dell’uscente Lamorgese, sia per l’esperienza istituzionale e in termini di gestione dell’ordine pubblico accumulata negli anni (Piantedosi è stato anche vice capo della Polizia) sia perché pure il centrosinistra ne ha sempre apprezzato stile ed equilibrio, pur trovandoselo spesso dall’altra parte della barricata.

L’altro nome bolognese che circola con insistenza è quello di Anna Maria Bernini, senatrice di Forza Italia fresca di rielezione e già ministro delle Politiche Europee nel 2011. Bernini potrebbe tornare a occupare lo stesso dicastero oppure essere scelta per un altro ruolo di governo. La partita legata alla sua nomina, però, si intreccia con due elementi in grado di influenzarne l’esito finale. Il primo è che Fd’I, dopo avere dato a Lega e Forza Italia più collegi uninominali sicuri di quanti sarebbero loro spettati, ora vuole passare all’incasso sul fronte del governo. Tradotto: più posti ai fedelissimi della Meloni, o ai tecnici da lei stessa scelti, che agli alleati. E non solo perché Fratelli d’Italia è il primo partito della coalizione. Il secondo elemento, conseguenza del primo, sono gli equilibri interni alla galassia berlusconiana, che al momento vedono Antonio Tajani in pole per un ministero (Esteri). E per tutti gli altri? Si vedrà. Per questo il nome della Bernini è considerato spendibile anche su un altro fronte, quello della presidenza del Senato, ruolo che la Bernini sfiorò già nel 2018.

Infine, c’è Galeazzo Bignami, uomo forte di Fd’I in città e in regione. Un suo impegno nel governo al momento pare escluso, mentre non è affatto improbabile che possa toccargli in sorte la presidenza di una commissione di peso della Camera o un ruolo operativo e di rilievo all’interno del partito nazionale: la Meloni, infatti, dovrà affidarsi ai suoi fedelissimi per gestire Fratelli d’Italia mentre lei sarà impegnata sul fronte di Palazzo Chigi.

Ultimissimo nome bolognese spendibile per l’esecutivo sarebbe quello di Lucia Borgonzoni, senatrice leghista e sottosegretario alla Cultura uscente. Il collasso del Carroccio e l’attacco alla leadership di Salvini iniziato ieri con le parole di Roberto Maroni, però, rendono per ora molto improbabile una sua riconferma nella squadra di governo. Ma la partita è ancora lunga. E apertissima.

 

 

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