
Il tenente colonnello Enrico Risottino del Tase assieme a un collega della Guardia Civil spagnola
Gli oli esausti, semplicemente allungati con dell’acqua, venivano rivenduti come biodiesel all’estero. Un giro d’affari di 2 milioni e mezzo di euro quello quantificato dai carabinieri del Gruppo per la Tutela ambientale e la Sicurezza energetica, che hanno eseguito ieri mattina undici misure cautelari, a carico di dieci campani e un frosinate, accusati di associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, favoreggiamento personale, falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico e abuso d’ufficio.
L’inchiesta ‘Petrolio dorato’ è partita nel 2021 da alcune denunce arrivate ai carabinieri bolognesi, relative a furti di olio esausto dalle campane dello smaltimento rifiuti in provincia. Da questi episodi sono partiti gli accertamenti del Tase, che hanno portato a Crevalcore alla Biofaroil, impianto riconducibile agli indagati dove gli oli (rubati o acquistati dalle apposite ditte) avrebbero dovuto subire il processo di raffinazione. Processo che in realtà non avveniva, con gli oli semplicemente allungati che poi venivano spacciati per biodiesel e venduti in Austria, Belgio, Ungheria, Bulgaria, Repubblica Slovacca, Malta e Libia. Da questa prima azienda, i carabinieri sono risaliti a un’altra società con sede nel Padovano, la ‘Ecouno service’ di Stanghella, e da qui ancora ad altre aziende, radicate tra Campania, Calabria, Trentino e Veneto.
L’inchiesta, coordinata dal pm della Dda Marco Forte, ha portato a ricostruire i vertici del sodalizio: due dei destinatari della misura ai domiciliari sono attigui ad ambienti di camorra e già indagati nell’inchiesta Morfeo del Ros campano sul clan Moccia. Con loro, ai domiciliari su disposizione del gip Domenico Truppa sono finite altre tre perone; per altri tre è stato disposto l’obbligo di dimora e per ulteriori tre il divieto di esercitare imprese o uffici direttivi in società del settore della gestione rifiuti. In totale, gli indagati sono 22. Ieri sono state anche sequestrate le due società citate, mentre sono in corso accertamenti su un capannone di Bargellino di Calderara, di proprietà di una società immobiliare laziale sempre riconducibile al sodalizio. Stando a quanto accertato dai militari dell’Arma, il gruppo avrebbe acquistato gli oli al prezzo di mercato, compreso tra gli 0,60 e gli 0,80 euro, rivendendo il prodotto ‘finito’ a 1,80 euro. Guadagni sicuri, visto l’abbattimento fraudolento dei costi di lavorazione inesistenti. All’indagine ha collaborato anche l’Europol, visto che il sodalizio gestiva affari anche in Grecia e Spagna.
n. t.