Omicidio al veleno: "Leon ha un vizio di mente"

Lo psichiatra Ariatti in aula: "Ma ha sempre negato l’orrore". E l’imputato: "Quella sera mamma mi disse, ’scendi che è pronto’"

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di Nicola Bianchi

Non una situazione di incapacità ma un vizio parziale di mente sì. "Leon – spiega lo psichiatra Renato Ariatti – per tutta la vita racconta azioni che fanno parte del suo falso sè. Da solo non ha mai combinato niente perché non è in grado di farlo e ha vissuto sempre a traino di qualcuno". Era il giorno della difesa davanti all’Assise che sta processando Alessandro Leon Asoli, oggi 21 anni, alla sbarra con le accuse di tentato omicidio (della madre, Monica Marchioni) e omicidio (di suo marito, Loreno Grimandi). Era la sera del 15 aprile 2021 quando il ragazzo, per Procura e Arma, mise del nitrito di sodio nelle penne al salmone dei coniugi: lui morì subito, lei finì in terapia intensiva. Una tesi che il ragazzo ha però sempre respinto e lo ha fatto anche durante i cinque incontri alla Dozza con Ariatti, consulente della difesa. "Io ero in camera , mamma mi chiamò: vieni giù che è pronto...". Questa la sua versione con le bordate rivolte fin dai primi momenti verso la madre. "Non so perché lei mi accusi, non so perché continui a fare così. Io voglio pagare per quello che ho fatto, ma non per ciò che non ho commesso. Perché non ho avvelenato io".

Quello che ha confessato è stata l’aggressione alla donna subito dopo il malore letale di Grimandi. "Ero molto arrabbiato con la mamma, – ha spiegato ad Ariatti – non sono riuscito a trattenermi. Ho fatto una roba da matto. Quella sera avevo un gran mal di testa, ho visto in lei la persona che mi ha rovinato la vita e ho perso il controllo. Solo quando l’ho sentita gridare ’Leon, cosa fai, sono la mamma’, allora sono tornato in me e ho desistito". Una giovane vita segnata fin dai primi anni, seguito "con continuità" da psicologi e psichiatri. "Nei primi 4-5 anni – spiega Ariatti – non ha avuto la possibilità di avere accanto la figura materna, fondamentale per creare la personalità successiva. Ricorda di aver sofferto molto della conflittualità genitoriale e di aver sviluppato forme di sopravvivenza. Aveva ansie molto forti, difficoltà a fronteggiare certe situazioni. E quando ciò accade, i bambini sviluppano forme di falso sè".

Tutta un’esistenza "a rimorchio di qualcuno che per lui deve essere una sorta di ideale". A partire "dall’amico trainante di turno, anche quando sceglie la strada della droga o del suicidio". E ciò che sviluppa è "una forma camaleontica", sfoggiando continue "facciate per compiacersi". In lui "convive un disturbo della personalità, un eccesso di distacco dalla realtà come meccanismo di difesa", passando "dall’idealizzazione della madre, fino alla sua demonizzazione". In questo anno di carcere, il suo andamento è stato fortemente ondivago: "Momenti in cui diceva ’non ce la faccio, aiutatemi’, altri invece in cui si sentiva protagonista del mondo, che voleva laurearsi in Medicina e trovare un lavoro. Ma il suo craving suicidiario resta molto alto". Ieri Leon doveva testimoniare ma non se l’è sentita. E nemmeno è riuscito a tornare in aula dove vi farà ritorno, come ha chiesto la difesa, forse con l’aiuto di uno psicologo.

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