Omicidio di Badolo, uccise la madre. In carcere dopo 19 anni

Tommasina Olina fu ammazzata il 5 gennaio 2000 con l'ascia, caso riaperto nel 2008 con nuove indagini

Omicidio di Badolo, Nicola Nanni uccise la madre Tommasina Olina con un'ascia

Omicidio di Badolo, Nicola Nanni uccise la madre Tommasina Olina con un'ascia

Sasso Marconi (Bologna), 24 gennaio 2019 - Fu suo figlio a sfondarle il cranio con un’accetta. La Cassazione, rigettando il ricorso presentato dai legali della difesa Pietro Giampaolo e Andrea Speranzoni, ha confermato l’ergastolo per Nicola Nanni, agricoltore, oggi 56 anni, che il 5 gennaio del 2000 uccise con estrema ferocia la madre, Tommasina Olina, nella loro casa di Cà Fornace a Badolo, tra le colline di Sasso Marconi. I carabinieri hanno eseguito questa mattina l'ordinanza di carcerazione dell'Ufficio esecuzioni penali della Procura presso il Tribunale di Bologna. 

Dopo la decisione di ieri della Suprema Corta, alle 9.30 i militari della Stazione di Sasso Marconi si sono presentati a casa di Nanni in paese, mentre era insieme al figlio di 30 anni, e lo hanno portato nella caserma di Borgo Panigale per le procedure di fotosegnalamento e il trasferimento in carcere.

Quel delitto tanto efferato, che ha compiuto da poco 19 anni, per ben otto rimase senza un colpevole: furono i carabinieri a riaprire le indagini, repertando poi, nella legnaia vicino al casolare dove madre e figlio vivevano, quell’ascia dimenticata, usata per ammazzare la povera Tommasina, pensionata di 78 anni. Nanni l’aveva ripulita dal sangue suo e della mamma. Ma non l’aveva buttata, perché "tagliava bene". L’aveva messa da parte, malgrado fosse il simbolo di un atto feroce. Un gesto che, per il pm Stefano Orsi, che aveva condotto le indagini, rientrava in quella "mentalità contadina del ‘non si butta via nulla’". Ma questa avidità, la stessa che cova sotto al movente dell’omicidio, gli si è ritorta contro.

Qualche goccia si era impregnata infatti nel manico: furono riesumati così i resti della donna e nel 2011 una perizia confermò che la ferita letale era compatibile con un colpo inferto da quell’accetta. E Nicola Nanni finì indagato in quell’omicidio che, il per magistrato, fu commesso in un impeto d’ira. Nulla di premeditato, ma un odio gonfiatosi su una lite banale e sfociato in un raptus tanto violento da fermarsi solo quando la donna era ormai un cadavere immerso in una pozza di sangue, sul pavimento di cotto della vecchia casa di campagna. 

Il litigio era nato per soldi. Soldi che Tommasina voleva investire per realizzare una casa per il nipotino e che invece il figlio voleva per sé. Alcune centinaia di milioni di lire, custodite in conti correnti poi analizzati dai militari dell’Arma e della Guardia di finanza. Che ci sia il denaro dietro la morte della pensionata, è una circostanza che emerge anche dal fatto che, due giorni dopo la morte della madre, Nanni andò a controllare lo stato del conto corrente della donna e avviò subito le pratiche per la successione. La corte d’Assise prima condannò Nanni all’ergastolo. E la sentenza fu confermata in Appello. Ieri sera è arrivato il verdetto della Suprema corte. "C’è una conferma che mette la parola fine a tre gradi di giudizio – hanno dichiarato i difensori dell’imputato, finora a piede libero –. Anche questa sentenza andrà esaminata, perché esistono ulteriori rimedi davanti alla giustizia europea". 

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