Omicidio Matteuzzi a Bologna, Padovani: "Ecco come ho ucciso Sandra"

La ricostruzione del delitto nell’ordinanza del gip che ha convalidato l’arresto. Al calciatore non viene contestata la premeditazione

Bologna, 27 agosto 2022 - Si è avvalso della facoltà di non rispondere Giovanni Padovani, 26 anni, accusato dell’omicidio a martellate della sua ex compagna, Alessandra Matteuzzi, 56 anni, martedì scorso in via dell’Arcoveggio. Maglietta nera sportiva aderente e tatuaggi in vista, pantaloncini corti verde fluorescente e scarpe da tennis di marca, slacciate, Padovani si è presentato puntuale alle 11 davanti al giudice per le indagini preliminari Andrea Salvatore Romito, nell’aula D6 al piano terra del tribunale nella ex Maternità di via d’Azeglio, scortato direttamente dal carcere della Dozza con un furgoncino dai vetri oscurati della polizia penitenziaria.

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A sinistra, Giovanni Padovani. A destra, Alessandra Matteuzzi con il suo cane
A sinistra, Giovanni Padovani. A destra, Alessandra Matteuzzi con il suo cane

Al fianco dell’indagato, l’avvocato Enrico Buono. Fuori dall’aula, ad attenderlo, la madre e lo zio, che prima dell’interrogatorio di convalida si sono fermati qualche istante a parlare con lui in una stanza adiacente all’aula, sempre alla presenza degli agenti della polizia penitenziaria. Per il ventiseienne, il pm Domenico Ambrosino ha chiesto l’aggravante dello stalking, ma non quella della premeditazione. Padovani avrebbe spiegato di avere portato con sé in automobile, dalla casa della sua famiglia a Senigallia fino a Bologna, il martello utilizzato nel delitto per "legittima difesa", dato che in passato la sorella di Sandra e il compagno lo avrebbero minacciato, quest’ultimo addirittura brandendo "un crick".

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Non è detto però che l’aggravante non sia poi richiesta e riconosciuta in un secondo momento dell’iter processuale. In ogni caso, il gip Romito ha convalidato l’arresto e disposto il carcere, nonostante la richiesta della difesa di Padovani di sostituire la misura cautelare con quella più lieve degli arresti domiciliari nella casa della madre a Senigallia, con l’ausilio del braccialetto elettronico. Richiesta appunto respinta.

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"Mi sono sentito nuovamente usato e manipolato da Alessandra". Si autoassolve Giovanni Padovani. L’assassino di Alessandra Matteuzzi è chiaro e lucido mentre ripercorre le 24 ore che hanno preceduto la mattanza. Non le racconta al gip Andrea Salvatore Romito. Ma ne parla, a lungo, con i poliziotti, che lo fermano subito dopo l’omicidio, martedì sera in via dell’Arcoveggio. Questo prologo a una morte orrenda, viene rissunto nelle dieci pagine di ordinanza, in cui il giudice, stabilendo il carcere per Padovani, parla di "eccezionale pericolosità e assoluta incontrollabilità o prevedibilità delle azioni". Unica misura possibile, visto il pericolo di recidiva, per tutelare "in particolare, i famigliari della Matteuzzi, esposti al rischio di ritorsioni o gesti connotati da pari carica aggressiva".

La fine della relazione

Padovani racconta che la storia con la vittima era iniziata nell’estate del 2021 e si era interrotta il 23 luglio scorso, a causa della "scoperta di presunti tradimenti" da parte di Sandra e del suo imminente trasferimento in Sicilia, per giocare nella Sancataldese. Non si sentivano più dal 4 agosto. Se il rapporto era da sempre stato caratterizzato da gelosia ossessiva, pressioni e manipolazioni, dopo la chiusura iniziano anche le paranoie: durante il periodo separati, racconta Padovani, Sandra "aveva aggiunto sui social alcuni miei ex compagni di squadra e alcuni miei amici". E questa cosa, che lo aveva "fatto soffrire", necessitava di un chiarimento.

Il giorno prima

Sabato Padovani dice di aver chiesto "un permesso all’allenatore" poiché stava male per la rottura con Sandra. Arrivato a Senigallia, la notte del 21 era partito in macchina per Bologna, arrivando la mattina del 22. Lui, a differenza di quanto raccontato dalla sorella della vittima, sostiene di aver aspettato Sandra su una panchina, di aver parlato e di essersi chiariti: le aveva proposto di continuare a sentirsi tutti i giorni e vedersi ogni due settimane e, a suo dire, lei aveva acconsentito. La sorella, invece, racconta di un agguato: di lui che, dopo averle staccato la luce, l’aveva sorpresa nel locale contatori. Tanta era la paura di Sandra, che era scesa tenendo in mano lo spray urticante.

Il pomeriggio insieme

Malgrado la trappola, Alessandra acconsente a trascorrere il resto della giornata con Padovani. Vanno a trovare la mamma di lei in casa di riposo. E poi fanno sesso. "Ci siamo appartati in un posto isolato per strada e abbiamo fatto sesso", racconta lui. Una circostanza che anche Alessandra, vergognandosi di una situazione di cui si era subito pentita, aveva confessato il giorno dopo, alla sorella.

Il giuramento

Sandra racconta anche alla sorella che in macchina l’uomo aveva iniziato a chiederle, con insistenza, se lo avesse denunciato: "Mia sorella gli aveva risposto in maniera evasiva". E a lui non era bastato. "A garanzia della fedeltà di Sandra, aveva preteso un giuramento sulla tomba di nostro padre". E i due erano andati anche al cimitero. Si erano lasciati la sera. Lui era tornato a Senigallia. In macchina l’aveva chiamata, avevano parlato. Di nuovo, anche una volta arrivato a casa, le aveva telefonato. Senza però ottenere risposta.

Il massacro

Giovanni non accetta quel silenzio. "Eravamo stati bene, mi sono sentito manipolato", dice ai poliziotti. Così, la mattina di martedì prepara uno zainetto, con dentro il martello: "per difesa – si giustifica lui – dato che in occasioni precedenti ero stato quasi aggredito dalla sorella di Alessandra e dal suo fidanzato, presentatosi addirittura con un crick". In realtà, quello che succede poi sembra un piano studiato nei dettagli. Lui alle 16 lascia il martello vicino a un cespuglio nel cortile di via dell’Arcoveggio, sale sul tetto e aspetta Sandra. E quando la vede scende: "Le sono andato incontro, mi sono messo un dito sulla bocca facendole cenno di non parlare. Ma lei urlava e diceva che avevano già chiamato la polizia. A quel punto mi è preso un raptus di rabbia".

Preso il martello "l’ho colpita in testa, una volta, ma il martello si è subito rotto", si rammarica. Così, dopo averla riempita di pugni e calci in faccia, "ho afferrato la panchina e l’ho colpita con quella". Una, due, tre volte. Finché non lo fermano. Vicino al corpo di Sandra c’è lo spray urticante: non le è servito.

La denuncia

Il gip, nell’ordinanza, si sofferma sulla denuncia sporta il 29 luglio dalla vittima per stalking: il racconto di Sandra (che viene sentita dai carabinieri anche il 3, 8 e 13 agosto) "pur bisognevole dei necessari approfondimenti investigativi, appare logico e coerente", confermando quindi l’aggravante dello stalking, spinto fino al suo "insano completamento" nel "delirio maniacale" di Padovani.

 

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