Bologna, omicidio Pulicari. I figli chiedono di riaprire il caso 40 anni dopo

"Gli orari non tornano, bisogna valutare l’operato dei colleghi che quel giorno erano con lui""

Il capitano Giuseppe Pulicari

Il capitano Giuseppe Pulicari

Bologna, 15 ottobre 2019 - C’è un faldone ingiallito negli archivi del tribunale con gli atti scritti con le vecchie Olivetti e che riportano indietro di 40 anni. Castel San Pietro, 17 febbraio 1979, procedimento 77/79: omicidio Giuseppe Pulicari.

"Magnifico esempio di elevate virtù militari – la motivazione del massimo riconoscimento al valor militare – e di profonda dedizione al dovere, spinta con serena consapevolezza fino al supremo sacrificio". Un sacrificio che portò alla condanna di tre persone, con sentenze passate in giudicato, ma a 40 anni di distanza vi sarebbero ancora punti non chiari: orari d’intervento, di quella notte, che oggi portano alla luce i figli del capitano, Elena e Vittorio. «Vogliamo la verità», dice chi all’epoca aveva 16 e 12 anni. Il primo passo l’hanno già fatto, rivolgendosi agli avvocati Luca Canella, Paolo Cristofori e Elisa Fabbri, con cui hanno iniziato la rilettura degli atti fatti riemergere dagli archivi del Palazzo di giustizia. "Ma non si tratta di riaprire il caso su estorsione e omicidio – precisano i legali –, conclusosi con la condanna dei diretti responsabili, ma di fare luce su eventuali mancanze di chi partecipò all’operazione con il capitano Pulicari".

Classe 1933 , viterbese d’origine, sposato e padre di due figli, Pulicari era un militare a tutto tondo. A rruolatosi nell’Arma nel 1952, viaggiò mezza Italia: Bari, Napoli, Firenze, Udine e ancora Cagliari, Lugo e Alfonsine a capo delle Tenenze. Infine Imola, nel prestigioso ruolo di comandante di Compagnia.  "Nell’Imolese – disse ad alcuni cronisti pochi giorni prima di morire – non si sono verificati grossi casi delinquenziali ed è pressoché inesistente la delinquenza organizzata". Da giorni però, stava seguendo un tentativo di estorsione ai danni di un artigiano di Ozzano che, dopo essersi ritrovato il furgone bruciato, si era sentito chiedere 20 milioni di lire. Soldi che, chiusi in un sacco, dovevano essere lasciati sotto il ponte Alberici, al chilometro 39 dell’Automare (la A1), nel comune di Castel San Pietro. Uno scambio che doveva saltare con l’arresto degli estorsori.

Da Imola partirono la Fiat 500 dell’artigiano, ma con alla guida un carabiniere camuffato e dietro, sotto un sedile, il capitano Pulicari. Davanti un’Alfa Sud, poi una 128 e una 127 con in totale, come spiegano i giudici dell’Appello, 12 carabinieri. Sotto il cavalcavia, però, rimase solo Pulicari, a guardia dei soldi lasciati sull’erba. Con gli altri a distanza e, secondo le ricostruzioni, in attesa di un comando dall’ufficiale o da altri. Alcune cronache dell’epoca parlarono di una sagoma sbucata tra l’erba, con Pulicari pronto a gridare "alt, carabinieri". Altre, invece, sostennero che lo stesso abbia addirittura gridato "Balzano, fermati, ti ho riconosciuto". Certo è che il rumore delle detonazioni aveva coperto quello delle parole e l’ufficiale venne freddato. Di fronte a lui Michelangelo Balzano Grieco, 39 anni pregiudicato, uno che con le armi ci sapeva fare: rimase ferito alle gambe, riuscì a trascinarsi con i soldi e due pistole prima fino a un casolare, poi sul cavalcavia dove venne caricato da un camion pieno di pecore e con a bordo due complici. Balzano si beccò 30 anni, Ermanno Bernardi, dopo l’assoluzione in primo grado, 18, Gaetano D’Ambrosio passò da 6 (per il solo tentativo di estorsione) a 17.

Passano gli anni, al capitano vengono intitolate caserme, vie, scuole e pure una rotonda. Ma qualcosa, per i figli, non torna: "E i dubbi – spiega Vittorio – mi sono tornati rileggendo un vecchio articolo. C’è un buco di tre ore dalla sparatoria all’intervento dei colleghi di papà che non capiamo". Lo scrivono anche i giudici d’Appello: "Albeggiava già quando i carabinieri impegnati nel servizio venivano avvertiti che poco dopo le 5, Balzano era stato ricoverato al Maggiore per ferite d’arma da fuoco. Il brigadiere D. si portava sotto il cavalcavia, scoprendo il cadavere di Pulicari". Verso le 2 "una donna, dalla sua casa, aveva sentito alcuni colpi in rapida successione, poi una breve raffica, con detonazioni più forti".

Un altro testimone, più o meno alla stessa ora, raccontò di aver "sentito suonare il campanello e di aver visto uno sconosciuto accasciato che, adducendo di essere stato ferito in un incidente stradale, gli aveva chiesto di accompagnarlo a Bologna". Perché, dunque, chiedono i figli, in quelle tre ore nessuno intervenne? "L’argomento degli orari è di notevole importanza – ancora i giudici –. Tutte le indicazioni orarie dei militari impegnati nel servizio sono largamente imprecise. Nessuno annotò i tempi". Non ebbero "modo nel buio di guardare l’orologio". E presero "come punto di riferimento solo l’ora iniziale del servizio". Il giorno del funerale, a Imola, c’era la folla per il suo comandante.

"Papà, – gridarono i figli – sei vivo in noi per sempre". Oggi, 40 anni esatti dopo, Elena e Vittorio chiedono di sapere. Senza addossare colpe, ma con la dignità di chi, in una maledetta notte, rimase senza un padre.

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