CHIARA GABRIELLI
Cronaca

Omicidio Saman, quattro ergastoli. Carcere a vita anche per i cugini

L’appello: condanna confermata per i genitori, e per lo zio Danish la pena sale da 14 a 22 anni. La corte d’assise di Bologna ha parzialmente ribaltato il primo grado di Reggio: tutta la famiglia è colpevole.

L’appello: condanna confermata per i genitori, e per lo zio Danish la pena sale da 14 a 22 anni. La corte d’assise di Bologna ha parzialmente ribaltato il primo grado di Reggio: tutta la famiglia è colpevole.

L’appello: condanna confermata per i genitori, e per lo zio Danish la pena sale da 14 a 22 anni. La corte d’assise di Bologna ha parzialmente ribaltato il primo grado di Reggio: tutta la famiglia è colpevole.

Quattro ergastoli e una condanna a 22 anni. Finisce così il processo d’appello per l’omicidio di Saman Abbas, la 18enne di origine pakistana uccisa nelle campagne di Novellara nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021. L’ergastolo arriva ieri alle 20.30, come una doccia fredda, anche quindi per i due cugini della ragazza, Ikram Ijaz e Noman Ulhak, che in primo grado erano stati assolti: e vengono ritenuti colpevoli anche di soppressione di cadavere. Confermato il fine pena mai per i genitori della ragazza, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, con l’aggiunta della premeditazione e dei motivi abietti. E la pena per lo zio Danish Hasnain sale da 14 a 22 anni di reclusione.

Alla lettura del dispositivo, ieri sera attorno alle 20.30 dopo quasi tre ore di Camera di consiglio, la mamma di Saman resta immobile, come paralizzata: seduta, non si alza dalla sedia, non ci crede che hanno condannato anche i cugini. Non possono essere stati loro, non c’entrano nulla, susssura. È sconvolta e tiene la testa tra le mani, circondata dalle guardie, che le fanno da barriera, un riparo ai tanti sguardi di un’aula affollatissima e con le telecamere accese. Parla a lungo con il suo avvocato, Simone Servillo, ci impiega moltissimo per alzarsi dalla sedia. E restano di sasso anche i cugini. Loro, per il momento, restano a piede libero – il legale di uno dei due ha già annunciato che farà ricorso in Cassazione.

C’è l’appello disperato dei cugini rivolto alla Corte d’Assise d’appello (presieduta dal giudice Domenico Stigliano) subito prima della sentenza, ma i giudici non credono a una sola parola sulla loro innocenza e infliggono la pena più severa.

"Dal mio punto di vista è una sentenza che segue un percorso puramente logico. Significa che in qualche modo è stata accolta la nostra ricostruzione, era quello che abbiamo sostenuto appena abbiamo letto la sentenza di primo grado e le evidenze probatorie hanno confermato la nostra impostazione", commenta l’avvocato generale dello Stato di Bologna, Ciro Cascone. E la tesi, esposta per sei ore e mezzo durante la requisitoria dalla pg Silvia Marzocchi, è che "Saman è stata condannata a morte da tutta la famiglia. Ed è stato un omicidio premeditato. Saman ha vissuto all’interno di una recita i suoi ultimi giorni di vita". Tesi che i giudici, ieri, mostrano di condividere a pieno: tutti sono colpevoli, non c’è un solo innocente (fatta eccezione per il giovane fratello della vittima) in quella famiglia. E quindi tutti, in qualche modo, hanno mentito.

Poco prima della sentenza, l’aula Bachelet viene ’invasa’ da un piccolo gruppo di donne, una protesta silenziosa. In mano hanno un cartello, scritto in urdu e, sotto, la traduzione: "Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima". Saman si faceva chiamare ’Italiangirl’ sui social. Suo malgrado, è diventata un simbolo di libertà, del desiderio di vivere e di amare. Tutti sogni spazzati via per sempre per mano di chi le era più vicino.

"La sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Bologna segna un momento di svolta, non solo dal punto di vista giuridico, ma soprattutto sul piano sociale le parole dell’avvocata Maria Teresa Manente, responsabile ufficio Legale Differenza Donna –. Con questa decisione, la Corte riforma radicalmente la pronuncia di primo grado, riconoscendo la responsabilità di tutti i familiari imputati per il femminicidio di Saman Abbas e compie un atto di giustizia atteso e necessario". Non solo. "La colpevolizzazione postuma della vittima, ancora una volta, aveva rischiato di oscurare la verità – prosegue Manente –. Saman è stata uccisa per la sua libertà. Questa sentenza rimette al centro la responsabilità degli autori della violenza e restituisce dignità a Saman, riconoscendole il diritto, troppo spesso negato, di vivere la propria vita secondo desideri, scelte e relazioni liberamente costruite. La differenza l’ha fatta la competenza e la consapevolezza con cui la Procura generale e i giudici d’appello hanno saputo leggere questo femminicidio: non come un fatto privato, ma come espressione di una violenza sistemica che ancora oggi colpisce le donne che decidono di uscire dai ruoli imposti".