NICOLETTA TEMPERA
Cronaca

Operai come schiavi. Blitz negli opifici cinesi. Arresti e denunce, sequestri per 10 milioni

Operazione della Finanza: in carcere 4 imprenditori. Nei guai l’azienda Imperial. Il brand di moda bolognese aveva affidato ingenti commesse agli arrestati.

Operai come schiavi. Blitz negli opifici cinesi. Arresti e denunce, sequestri per 10 milioni

Operai come schiavi. Blitz negli opifici cinesi. Arresti e denunce, sequestri per 10 milioni

Gli operai, molti clandestini e in nero, dormivano, mangiavano e vivevano nei capannoni dove lavoravano. Anche quattordici ore al giorno, senza pause, sette giorni su sette. E il frutto di questa ‘schiavitù’ finiva sulle vetrine dei brand di lusso. Quattro cittadini di nazionalità cinese, due donne e due uomini, sono finiti in carcere ieri, all’esito di un’attività di indagine della Guardia di Finanza contro il caporalato. Sono accusati, assieme ad altri cinque indagati, di sfruttamento del lavoro: tra questi, oltre a due prestanome cinesi, figurano anche la titolare della Imperial Spa e due responsabili della produzione del noto marchio del pronto moda ‘made in Italy’ del Centergross. I due manager, in particolare, sono stati anche raggiunti da un divieto di esercitare attività imprenditoriali o di assumere uffici direttivi di imprese operanti nel settore dell’abbigliamento. La stessa società bolognese, che aveva affidato ingenti commesse agli arrestati, è stata destinataria di sequestri preventivi per cinque milioni di euro.

Ulteriori cinque milioni sono stati sequestrati dalle Fiamme gialle agli imprenditori finiti in carcere: stando a quanto ricostruito dai finanzieri del 2° Nucleo Operativo Metropolitano, coordinati nelle indagini dal pm Tommaso Pierini, i quattro si avvalevano di prestanome per la gestione ‘di fatto’ di almeno 8 tra ditte individuali e società. Ditte ‘apri e chiudi’, come spiegano i finanzieri, che non restavano in attività, con la stessa ragione sociale e titolari, per più di due anni. Per poi riaprire, nello stesso luogo, con gli stessi macchinari e commercialisti, ma con nuovi nomi e vertici ‘fittizi’ così da incassare profitti e frodare il Fisco. Un modus operandi che ovviamente permetteva loro di tenere prezzi ‘concorrenziali’ e di ottenere così commesse dai principali brand della moda, anche bolognesi, come dimostrato dalle diverse ricevute recuperate nel corso del blitz negli opifici. Quattro di questi, dislocati tra Bentivoglio, Granarolo e Rovigo, sono stati sequestrati, così come i macchinari e gli automezzi per la lavorazione e il trasporto della merce (per evitare la reiterazione dei reati contestati), oltre a 35mila euro in contanti, titoli, auto di lusso tra cui Porsche, Audi e Bmw e una villa con piscina a San Giorgio, di proprietà della donna da cui sono partiti gli accertamenti. L’imprenditrice cinese, ritenuta dagli inquirenti avere un ruolo di spicco nell’indagine, è risultata titolare ‘occulta’ di cinque attività commerciali intestate a connazionali adesso irreperibili.

Secondo gli inquirenti era lei a pubblicare gli annunci di lavoro in cinese, per poi spiegare al telefono ai futuri operai le condizioni: preannunciava l’orario, 14 ore al giorno, e garantiva il pernottamento nello stesso luogo di lavoro. Ossia in ‘celle’, adibite a dormitorio, realizzate all’interno dei capannoni dove c’erano anche un refettorio e servizi igienici di fortuna.

I lavoratori (una cinquantina quelli clandestini e in nero, trovati in un anno di indagini) avevano stipendi notevolmente inferiori a quelli stabiliti dai contratti nazionali e non si vedevano versato alcun tipo di contributi. E questo ‘risparmio di spesa’ si sarebbe tradotto nei guadagni illeciti degli imprenditori cinesi (difesi dagli avvocati Bruno Salernitano e Marco Caroppo) e anche, ritengono gli inquirenti, dell’impresa committente, in questo caso sotto forma di bassi costi di approvvigionamento. "I miei clienti erano all’oscuro delle condizioni di lavoro dei dipendenti degli opifici", spiega l’avvocato Gino Bottiglioni, che difende uno dei manager e la titolare di Imperial. Per il legale, "che i miei clienti abbiano commissionato capi a queste aziende non è rappresentativo del fatto che avessero contezza di cosa avveniva negli opifici. I miei assistiti sono estranei a questa faccenda e lo dimostreremo".