Operai sfruttati, condannati due ’caporali’

Pakistani costringevano i connazionali dipendenti a restituire loro metà dello stipendio: sei anni al capo, cinque e mezzo al complice

Operai sfruttati, condannati due ’caporali’
Operai sfruttati, condannati due ’caporali’

Turni di lavoro massacranti e alloggi in condizioni fatiscenti. Non solo, uno stipendio in regola con il contratto nazionale, ma costretti a restituirne la metà. Asim Bahadar, 35enne di origine pakistane e il suo ‘braccio destro’ anche lui pakistano, Cheema Sakandar, sono stati condannati, col riconoscimento delle attenuanti generiche, rispettivamente a 6 anni e 5 anni e sei mesi di reclusione con l’accusa di caporalato ed estorsione. Oltre al pagamento di una multa di 3mila euro per Bahadar e 2.500 per Sakandar.

Per entrambi è arrivata anche la condanna all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e, per il solo Bahadar, all’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese. La vicenda ha inizio nel settembre del 2018 quando di fronte ai cancelli della ditta Agt di Castello d’Argile, alcuni lavoratori pakistani avevano trovato la forza di raccontare le condizioni nelle quali erano costretti a vivere e lavorare. Da quel momento, i carabinieri della compagnia di San Giovanni in Persiceto, del Nucleo ispettorato del lavoro e del Nucleo Investigativo, avevano effettuato un sopralluogo nella ditta indicata dai lavoratori, la Dp Gomme, al cui vertice c’era proprio il trentacinquenne Bahadar.

Ricatti, quindi, a decine di connazionali che, pur di non perdere il posto di lavoro, ‘accettavano’ turni di lavoro massacranti e, a fine mese, dopo aver ricevuto uno stipendio formalmente in regola col contratto nazionale, ne restituivano la metà ai caporali.

Le indagini dei militari dell’Arma hanno permesso di capire che lo stesso Sakandar, trentottenne all’epoca dei fatti, era la persona addetta a riscuotere le somme di denaro: i lavoratori venivano obbligati a sottostare alle condizioni imposte dai ‘vertici’ sotto minaccia. Nessuna alternativa per gli operai che, laddove si fossero rifiutati di restituire metà dello stipendio, sarebbero stati licenziati in tronco.

Per i due caporali, all’epoca dei fatti, erano stati disposti i domiciliari e l’obbligo di dimora. Non solo, il giudice per le indagini preliminari aveva anche disposto il sequestro di 600mila euro tra immobili, conti correnti e quote societarie. Le aziende, quattro a Bologna, due nel Modenese, una a Brescia, una a Varese e una nel Ferrarese, vennero affidati a un curatore giudiziario. Altri due imputati finiti alla sbarra sono stati assolti dal giudice.

Chiara Caravelli