BENEDETTA CUCCI
Cronaca

Oppenheimer: "’The end’, atto di speranza"

Il regista al Biografilm con il suo primo lavoro di finzione: "Il male esisterà finché gli uomini continueranno a mentire a se stessi"

Il regista al Biografilm con il suo primo lavoro di finzione: "Il male esisterà finché gli uomini continueranno a mentire a se stessi"

Il regista al Biografilm con il suo primo lavoro di finzione: "Il male esisterà finché gli uomini continueranno a mentire a se stessi"

Era stato al Biografilm nel 2013 con il suo documentario capolavoro The Act of Killing, che aveva vinto il concorso internazionale ed era poi stato candidato all’Oscar per il miglior documentario nel 2014, raccontando le conseguenze dell’eccidio commesso in Indonesia negli anni Sessanta. Joshua Oppenheimer è tornato ieri sera per presentare il suo primo film di finzione intitolato The End, un film musicale che mostra ancora una volta il regista americano educato ad Harvard, impegnato nella ricerca di un linguaggio innovativo per raccontare il male. La storia è quella di una ricca famiglia – la madre è Tilda Swinton e il figlio è George McKay (in foto a lato con il regista) – che vive da oltre vent’anni in un bunker sotterraneo (la location meravigliosa è quella delle miniere di sale a Raffo in Sicilia), per scampare alla fine del mondo che essa stessa ha causato.

Oppenheimer, lei torna a raccontare il male in ’The End’. Da che punto di vista? "Amo molto l’affermazione di Primo Levi che dice ‘I mostri esistono, ma sono troppo pochi per essere davvero pericolosi. Sono più pericolosi gli uomini comuni, i funzionari pronti a credere e obbedire senza discutere…’. E questo male nasce dalla capacità unica degli essere umani di mentire a se stessi e di essere malvagi, perché se fossimo onesti con noi stessi non riusciremmo più a commettere il male coscientemente. È proprio la situazione del film in cui la madre, davanti a una ragazza che chiede ospitalità, si domanda: ‘non possiamo accogliere questa ragazza perché non c’è posto, vero?’. E dice questo perché se l’accogliesse ammetterebbe di aver ucciso anche la sua famiglia".

L’essere umano continua a mentire a se stesso? "Sì e l’essere umano non è o solo buono o solo cattivo, non ha un angelo buono su una spalla e uno cattivo sull’altra che a seconda della situazione intervengono. La nostra capacità di raccontare storie è probabilmente la nostra dannazione e la nostra salvezza e credo che questo film sia un atto di speranza, vorrei provocare nel pubblico una riflessione. La prossima volta che ci succede, se riusciamo a razionalizzare la nostra apatia verso quello che succede nel mondo – che sia il genocidio di Gaza, la crisi climatica, la crisi dei rifugiati che non ci importa se vivono o muoiono –, mi piacerebbe che riconoscessimo in noi stessi la figura del padre, della madre, del figlio e il loro mentirsi perché non si prendono la responsabilità del male fatto. Bisogna creare compassione tra i personaggi e noi pubblico e dobbiamo perdonarci se abbiamo fatto del male".

Perché ha voluto usare il linguaggio del musical? "Perché il musical è il linguaggio dell’ottimismo cieco. È il genere dell’illusione in cui i personaggi nascondono la testa sotto la sabbia dicendo con speranza che cantando andrà tutto bene. Siccome il tema del film è invece tradire noi stessi, questa modalità è come il lupo della disperazione travestito da pecora".

Lei continua a fare cinema innovativo. "La grande innovazione data dall’uso del musical in questo film è che non si tratta di una satira ironica e distante per nascondere l’illusione spezzata: questo è un film sincero dove le canzoni sinceramente vogliono spiegare il fallimento nella lotta di mentire a se stessi. I personaggi continuano a cantarci sopra per trovare nuove illusioni ma a un certo punto si trovano davanti a un muro di verità per cui non riescono più a cantare. Tutte le canzoni sono cantate live per trasmettere forti emozioni".