"Ora fai la serva, poi ti prostituirai per noi"

La Squadra mobile ha arrestato una famiglia per aver segregato e ridotto in schiavitù una ventiduenne serba ‘promessa sposa’ del figlio

Elena Jolanda Ceria, vice capo della Squadra mobile, ha condotto le indagini coordinate da

Elena Jolanda Ceria, vice capo della Squadra mobile, ha condotto le indagini coordinate da

di Nicoletta Tempera

Volevano farla rimanere incinta a tutti i costi, perché con un neonato si raccolgono più elemosine. E se non gradiva l’accattonaggio, l’avrebbero messa sulla strada per prostituirsi. Intanto, la tenevano in casa come schiava, costringendola a svolgere qualsiasi lavoro. Picchiandola. Legandola. Tenendola sotto controllo in ogni momento, anche quando andava in bagno. L’incubo di una ventiduenne serba è iniziato a gennaio scorso, con una falsa promessa d’amore. E si è conluso prima con un tentativo di suicidio e poi, definitivamente, giovedì, quando la Squadra mobile ha arrestato la famiglia rom che l’aveva ridotta in schiavitù. In manette sono finiti il ‘fidanzato’ Maksuni Mustafovic, di 20 anni, il fratello Rakip Mustafovic, di 22 anni, la loro madre Fikreta Bejzaku, kosovara di 37 anni, e il compagno di lei Cristinel Monea, romeno di 36. Tutti con precedenti, l’uomo anche per violenza sessuale sulla figlia, minorenne, della compagna, ora affidata assieme al fratello anche lui non ancora diciottenne a una comunità.

Il dramma Bologna, ragazza di 22 anni sequestrata e vessata. Arrestata intera famiglia

La vittima, figlia di una famiglia poverissima, aveva conosciuto, su Facebook, Maksuni. Il ragazzo si era subito finto interessato a lei, corteggiandola e proponendole di raggiungere l’Italia per sposarsi. La ragazza, malgrado il parere contrario dei genitori che non volevano che arrivasse in Italia per sposare uno sconosciuto, aveva deciso di partire. Ed erano stati Maksuni e la sua famiglia a inviarle i 400 euro necessari per il viaggio. Appena messo piede nell’appartamento di edilizia popolare di Pianoro assegnato alla famiglia, era iniziata l’odissea. La famiglia l’aveva subito mandata a letto, senza neppure darle da mangiare. Le erano stati sottratti così il passaporto e il cellulare, a cui era stata distrutta la scheda. Era il 20 di gennaio e, dal giorno successivo, la ragazza era stata vessata, umiliata, picchiata. Il futuro, per lei, sarebbe stato la strada, se una parente degli aguzzini, arrivata in visita, non le avesse dato il consiglio giusto. "Fingi un malore, fatti portare all’ospedale. Così potrai scappare". La ragazza aveva tentato di fingere, ma a ogni lamentela seguivano botte. Così, disperata, il primo febbraio ha deciso di fare sul serio, ingerendo del detersivo, per farla finita. Era stata così presa da spasmi e febbre. E i quattro, preoccupati che avesse il Covid e potesse infettarli, loro malgrado si erano decisi a chiamare il 118. La ventiduenne, una volta in ospedale, aveva raccontato ai medici i dieci giorni di paura e violenze. E i sanitari, a loro volta, avevano informato la polizia. La ragazza, finalmente salva, era poi stata affidata a una struttura protetta. E le sue dichiarazioni, rese agli agenti della Squadra mobile, erano state confermate anche dalla parente dei suoi aguzzini, che appreso che la ragazza era in ospedale (dove la donna lavora per una ditta di pulizie) era andata dalla polizia a raccontare quello che sapeva. Nei due mesi di indagini successivi, attraverso intercettazioni e attività tecniche, la polizia è riuscita a ricostruire un quadro pesantissimo di prove a carico dei quattro e anche della fidanzata, italiana, di Rakip, indagata per favoreggiamento personale. La ragazza, istruita ad arte dai quattro, sentita dalla polizia e dal pm Roberto Ceroni che coordinava le indagini, aveva infatti fornito false dichiarazioni per smentire quanto testimoniato dalla vittima agli inquirenti. Che non sono state sufficienti, però, a scalfire la solidità dell’impianto accusatorio che ha portato madre, compagno e figli alla Dozza, con l’accusa di sequestro di persona e riduzione in schiavitù. La famiglia, difesa dall’avvocato Guido Perri, lunedì comparirà daavanti al giudice per l’interrogatorio di garanzia.

 

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro