Sanità Bologna, negli ospedali il 72% dei medici pronto a lasciare

Tra le ragioni: turni di lavoro sempre più duri, stipendi ritenuti troppo esigui, aggressioni e minacce da parte di pazienti e familiari

Salvatore Lumia, presidente Albo Medici Bologna e segretario regionale Cimo

Salvatore Lumia, presidente Albo Medici Bologna e segretario regionale Cimo

Bologna, 26 aprile 2022 - Il 72 per cento dei medici che lavorano in ospedale sono pronti ad andarsene: i turni sempre più pesanti con le ferie che si accumulano perché è sempre più complesso organizzare le presenze in reparto. Senza contare le aggressioni fisiche e verbali di cui spesso sono vittime i sanitari, ma con stipendi che vengono considerati sempre meno adeguati. A questo cahier de doléances, vanno sommate le migliaia di contenziosi registrate ogni anno. Il risultato è il desiderio di fuga da parte di chi è assunto, mentre per quanto riguarda i giovani, che dovrebbero essere la speranza di questa (come delle altre professioni), osservando la situazione in cui versano i colleghi più anziani, scelgono altri percorsi professionali. Tre le gravi conseguenze di ciò la perdita di borse di studio per le specializzazioni che, specialmente se si tratta di di discipline considerate più a rischio (ad esempio Anestesia, ma anche Pediatria), non vengono nemmeno assegnate perché non si presenta nessuno. E due anni di Covid hanno ulteriormente peggiorato la situazione.

Liste d'attesa, 1.400 gli interventi urgenti

Lo scenario emerge da una indagine effettuata dalla Federazione Cimo-Fesmed che ha raccolto in un dossier quelle che sono le maggiori criticità evidenziate dai medici ospedalieri, come spiega Salvatore Lumia, presidente dell’Albo dei medici di Bologna e segretario regionale Cimo-Fesmed. "Azienda Usl e Regione da venti anni non prendono in considerazione gli appelli che arrivano dall’Ordine e dai sindacati, l’unico pensiero è stato quello di ripianare i conti, mentre le condizioni di lavoro dei medici in ospedale diventavano sempre più difficili con stipendi non più adeguati, contratti collettivi nazionali scaduti e nemmeno applicati – afferma –. Inoltre le possibilità di carriera si sono fortemente ridotte e l’84 per cento dei medici non riesce più ad avanzare a causa del taglio delle strutture sia complesse che semplici, mentre l’autonomia professionale risulta compromessa dalla proliferazioni di figure gestionali. Questo scenario ha portato a una disaffezione per la professione medica, da qui l’alta percentuale di chi se ne andrebbe volentieri dagli ospedali pubblici".

Da aggiungere i due pesantissimi anni segnati dalla pandemia che hanno messo a dura prova, oltre alla popolazione, tutto il personale sanitario addirittura provocando in alcuni medici la grave sindrome da ’burnout’ (dall’inglese: bruciato, esaurito, ndr), caratterizzata da uno stress persistente causato una situazione professionale percepita come logorante dal punto di vista psicofisico, tanto da non avere più le forze per andare avanti. Un caso è stato citato dal direttore generale dell’Ausl Bologna, Paolo Bordon, nel corso dell’udienza conoscitiva sulla Missione 6 del Pnrr-Ambito sanitario di fronte alle Commissioni consiliari Prima e Seconda.

"Sono stato chiamato da un giovane medico che ha 40 anni, il quale mi ha riferito che intende licenziarsi – ha raccontato il numero uno dell’Ausl –. Questo perché non ce la fa più. Ha detto di avere bisogno di tempo per vedere che cosa fare. Ecco, oltre alla carenza di medici (il direttore si riferiva anche a quelli di famiglia, ndr), abbiamo anche queste situazioni". Considerato il grande bisogno di professionisti e il dispiacere di perdere una figura importante, il direttore Bordon sta cercando di convincere il medico a non abbandonare il suo posto in ospedale.

 

 

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