Pannofino, da Boris a Ozpetek "In Mine Vaganti per Fantastichini"

Migration

Cambia l’ambientazione e cambia il medium. Dal Salento ci si sposta a Gragnano e dal grande schermo si passa al teatro. Ma, al centro, rimane la storia della famiglia Cantone con le sue tradizioni culturali alto borghesi. Mine vaganti, lo spettacolo di Ferzan Ozpetek nato dall’adattamento teatrale del film omonimo del 2009, pluripremiato, andrà in scena da domani a domenica al Duse. Sul palco Francesco Pannofino e Iaia Forte nel ruolo dei coniugi Cantone, genitori dei due fratelli interpretati da Edoardo Purgatori e Carmine Recano. Accanto a loro, Simona Marchini nel personaggio della nonna. Pannofino, poi, sabato sarà al DumBo alle 17,30 per presentare il suo libro Dài, dài, dài. La vita a ca**o di cane (Compagnia editoriale Aliberti).

Pannofino, com’è stato entrare nei panni che al cinema ha vestito Ennio Fantastichini?

"Un onore. Io e Ennio ci conoscevamo, avevamo lavorato insieme. Se n’è andato troppo presto e uno dei motivi per cui ho accettato è stato proprio per ricordarlo con lo spettacolo".

Il personaggio è un pater familias omofobo e borghese…

"Sì, è stato terribile, ma anche divertente perché è un ruolo molto lontano da me. Io sono per la libertà assoluta; Vincenzo, invece, è pieno di pregiudizi, si vergogna di quello che dicono gli altri. Uno dei suoi due figli è omosessuale, lui lo vive come un dramma e allora cerca la complicità del figlio che ancora non si è dichiarato. Naturalmente questo suscita ilarità nella platea. Perché quando il pubblico sa e il personaggio ancora no, il pubblico ride. È un vecchio meccanismo del teatro". Com’è andato il lavoro con Ozpetek?

"Ci siamo capiti subito. Ha reso Mine Vanganti spettacolare anche dal punto di vista scenografico. L’allestimento è stilizzato, descrive molto bene gli ambienti. E lo spettacolo ha un ritmo felice: si ride, ci si commuove, c’è poesia e non mancano spunti di riflessione quando si esce dal teatro. Bisognerebbe essere orgogliosi dei propri figli indipendentemente dalle scelte".

Passiamo a Boris, com’è stato tornare nei panni di Renè Ferretti?

"Boris mi ha dato tanto umanamente. Renè è un personaggio difficile da incontrare e io ho avuto la fortuna di incontrarlo. Gli sceneggiatori mi cuciono il personaggio addosso come un cappotto su misura fatto da un grande sarto. Lo sento proprio mio, non faccio fatica a imparare le sue battute a memoria, e questo la dice lunga su quanto ci sia dentro".

Ci sarà una quinta stagione? "Ma magari, io sarei il primo a essere favorevole".

Davvero avrebbe voluto fare il giornalista da ragazzo?

"Precisamente avrei voluto fare il telecronista sportivo, perché da bambino mettevo il volume al minimo e facevo la telecronaca rompendo le scatole a tutta la famiglia. Poi ho iniziato a collaborare con qualche giornale a 1819 anni".

Amalia Apicella

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro