Perché Amato è rimasto in cella Il Riesame: "Freddo e calcolatore Carica criminale inimmaginabile"

Le motivazioni del tribunale della Libertà: "Potrebbe uccidere di nuovo o commettere gravi delitti". E identifica le potenziali vittime: la ex amante, che lo ha lasciato, e la cognata, che ha fatto fallire il suo piano.

Perché Amato è rimasto in cella  Il Riesame: "Freddo e calcolatore  Carica criminale inimmaginabile"

Perché Amato è rimasto in cella Il Riesame: "Freddo e calcolatore Carica criminale inimmaginabile"

di Federica Orlandi

Giampaolo Amato potrebbe uccidere ancora. Date le sue "straordinarie capacità manipolatorie e ideative di complessi piani criminosi" e, per contro, la sua "incapacità di accettare che le cose vadano in maniera diversa dalla sua volontà", potrebbe adoperarsi per procurarsi altri farmaci letali, benché sospeso dal lavoro; convincere possibili vittime ad andare a casa sua, pure se ai domiciliari, o recarsi da loro prima che le forze dell’ordine possano rilevare dal braccialetto elettronico un suo allontanamento; e potrebbe persino "affidare ad altri la realizzazione delle condotte lesive, come mandante". Per questo motivo e altri ancora, il tribunale del Riesame lo scorso 24 aprile ha deciso di rigettare il ricorso presentato dagli avvocati del noto oculista e medico dello sport di 64 anni accusato di avere ucciso con un cocktail letale di farmaci (Midazolam, una benzodiazepina, e sevoflurano, un anestetico ospedaliero), il 31 ottobre 2021, la moglie Isabella Linsalata, 62 anni.

I suoi difensori, gli avvocati Gianluigi Lebro e Cesarina Mitaritonna, avevano contestato più punti dell’ordinanza di custodia cautelare con cui il giudice per le indagini preliminari Claudio Paris ne aveva disposto l’arresto, il sabato prima di Pasqua: tra questi, l’insussistenza di un rischio di inquinamento delle prove (prospettazione in effetti ritenuta fondata dal Collegio) e di reiterazione del reato dall’indagato, dati la sua sospensione dall’Ausl, che gli renderebbe impossibile procurarsi farmaci letali, il lungo periodo trascorso dal fatto contestato e il suo comportamento corretto negli interrogatori e nel resto della sua vita professionale e familiare durante le indagini.

È su questo secondo rischio però che i giudici del Riesame Andrea Santucci, Renato Poschi e Silvia Monari rigettano le posizioni della difesa e concordano invece con quanto proposto dal gip e dagli esiti delle indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo coordinati dai pm Domenico Ambrosino con l’aggiunto Morena Plazzi. Il collegio, così motivando la sentenza di aprile, chiarisce come anzi "l’intervento cautelare di estremo rigore sia imprescindibile" anche a fronte della "vulnerabilità della potenziali vittime". Vittime che potrebbero avere pure nome e cognome: l’ex amante, "’colpevole’ di averlo abbandonato dopo la morte della moglie", e la sorella di Isabella, Anna Maria, che denunciò "l’occulta somministrazione di benzodiazepine" del cognato alla sorella, "ha preteso l’autopsia" sulla vittima e che Amato "rinunciasse all’eredità".

Del resto, per i giudici, il medico, "lungi dall’aver agito sotto impulso irrefrenabile, ha freddamente organizzato un omicidio che si avviava a essere il ’delitto perfetto’" se solo fosse riuscito a ottenere la cremazione della salma della coniuge. Una richiesta contraria alle convinzioni religiose di lei e che pure lui formulò "trovando, a poche ore dal decesso, la freddezza di mentire ai suoi familiari", spacciandola per una volontà della defunta.

Per di più i due moventi del delitto ipotizzati dall’accusa – quello sentimentale, per vivere in pace la sua relazione extraconiugale, e quello economico, per l’eredità – secondo il collegio sono uniti, siccome "l’eredità di Linsalata avrebbe assicurato" al medico "una certa tranquillità anche in vista di una futura vita con la nuova compagna". Un agio che il divorzio non gli avrebbe garantito e che è però sfumato con la rinuncia all’eredità in favore dei figli. Un gesto, per i giudici, "non spontaneo e disinteressato", come ritenuto dalla difesa, bensì obbligato dalla "priorità di allontanare da sé qualsiasi sospetto" una volta visto fallire il proprio progetto criminoso con la disposizione dell’autopsia sul corpo di Isabella, che ne ha rilevato la morte non naturale.

La pericolosità dell’indagato si anniderebbe poi, proseguono le motivazioni, nella sua "straordinaria capacità di accreditarsi agli occhi degli altri, mistificando la realtà e negando fatti accaduti fino ad autoconvincersi", al punto da riuscire a "controllare le persone a lui legate", come la moglie, che gli perdonava i tradimenti e anche le somministrazioni di sonnifero a sua insaputa, e l’amante, che nonostante episodi di violenza e i veri e propri "atti persecutori" rilevati dalle intercettazioni di chiamate e messaggi tra i due durante le indagini non lo denunciava per non metterlo in difficoltà. Proprio lo stalking è, per il collegio, un delitto "meno efferato dell’omicidio, ma pur sempre di gravità" tale da ritenere una volta in più che l’indagato debba restare in cella. Neppure i domiciliari col braccialetto elettronico potrebbero infatti impedirgli di colpire ancora.

"Innumerevoli e incontrollabili – chiudono i giudici – paiono le possibili occasioni di alterazione emotiva potenzialmente generatrici di iniziative delittuose" dell’indagato, scatenate magari da "gelosia o vendetta" in un uomo cui "la passione per un’amante" e il desiderio di un futuro agiato con lei sono bastati a rendere manifesta "una carica criminale inimmaginabile".

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro