Bologna, operata per un tumore benigno. "Ho perso tutto e faccio causa al Rizzoli"

L’ospedale si difende: intervento eseguito correttamente

L’Istituto ortopedico Rizzoli (foto Schicchi)

L’Istituto ortopedico Rizzoli (foto Schicchi)

Bologna, 17 agosto 2018 – «La mia vita dopo l’intervento è diventata un calvario. Oltre al braccio che non posso più muovere come prima, all’inizio non riuscivo nemmeno a deglutire né a bere, provavo dolori terribili, non riuscivo a vestirmi da sola o a fare la spesa, insomma non ero più autosufficiente. È solo grazie alla mia famiglia se sono riuscita ad andare avanti». Quando racconta quello che le è successo negli ultimi anni, questa ragazza oggi 33enne non trattiene le lacrime. L’8 aprile 2014 è stata operata al Rizzoli per asportare un tumore alla spalla e da allora tutto è cambiato. Prima era una brillante personal trainer con clienti vip in una delle palestre più ‘in’ di Bologna, ora ha una forte invalidità al braccio destro, cui vanno aggiunte altre conseguenze pesanti come una patologia al volto, per cui è stata costretta lasciare il lavoro, cambiare città e affrontare una lunga e dolorosa fisioterapia. Senza contare le sedute di psicoterapia.

Tramite gli avvocati Zancani e Guido Simonetti, la ragazza ha avviato una causa civile contro lo Ior ora arrivata al primo punto fermo. I consulenti Carlo Bernabei e Vito Nicola Romanazzi, nominati dal giudice Elisabetta Candidi Tommasi, hanno infatti depositato le loro conclusioni, stabilendo che ci sono stati errori da parte dei medici: in sostanza, è stato eseguito un intervento troppo invasivo sul presupposto che il tumore fosse maligno, mentre gli esami eseguiti dopo l’operazione hanno stabilito che era benigno, quindi si poteva intervenire in modo più soft. «Non vi è giustificazione per una procedura ampiamente demolitiva senza salvaguardia delle strutture nervose», scrivono i periti. Ora i legali chiederanno un maxi-risarcimento.

Il Rizzoli, al contrario, sostiene che l’operazione è stata eseguita correttamente. «E’ iniziato tutto quando ho iniziato a sentire dolori alla cervicale – racconta la ragazza –. Così ho fatto una tac, da cui è emersa una macchia nera. Sono andata al Rizzoli e il medico mi ha detto una cosa che mi ha lasciata di sasso: ‘Complimenti, hai vinto un tumore raro’. Non fu fatta nemmeno una biopsia. Ero agghiacciata». Il giorno prima dell’asportazione del tumore allo Ior, fu eseguita al Maggiore l’embolizzazione dell’arteria cervicale. «Quando sono andata al Rizzoli alla data fissata – prosegue la ragazza –, è arrivato un medico che non avevo mai visto, diverso da quello della diagnosi, e mi ha detto che mi avrebbe operato lui. Io rimasi sorpresa, ma mi disse che il collega era all’estero e lui eseguiva quegli interventi da anni. Alla fine mi sono fidata, anche perché autorizzarono mia sorella, medico, ad assistere all’intervento».

E arriviamo al fatidico 8 aprile: «L’unica cosa che ricordo è di essermi svegliata in Rianimazione. Mia sorella mi diceva di stringerle la mano e io non capivo il perché. Provavo ma ci non riuscivo». Era l’inizio del calvario: «Avevo dolori fortissimi, non muovevo il braccio, non riuscivo nemmeno a deglutire e loro mi dicevano di non preoccuparmi. Passavano i giorni e stavo sempre peggio. Nessuno mi diceva la verità. È questo ciò che mi ha fatto più male. Il loro comportamento. Solo in Fisioterapia mi hanno aiutata. Alla fine ho saputo la verità per caso e mi sono sentita morire dentro». Così è iniziato il percorso di riabilitazione: la fisioterapia al Malpighi, i piccoli miglioramenti da conquistare ogni giorno. «Per fortuna c’erano mio papà, mia mamma e mia sorella – racconta la combattiva ragazza –. Solo grazie a loro e alla mia forza di volontà sono riuscita ad andare avanti. E voglio ringraziare anche i miei legali e i consulenti dello studio Cortivo e Rondinelli di Padova». Oggi la nuova vita sul lago di Garda, un lavoro nuovo (l’impiegata in categoria protetta) e un nuovo compagno: «Sto ripartendo da zero, devo ricostruire la mia vita. Un passo alla volta».

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