Pianoro, schede sui bimbi. Il Comune avvierà indagini interne

Il vicesindaco di Pianoro Zuffi: "A fondo sulle responsabilità". E lo psicologo di Patchwork valuta querele

Mattia Minghetti è il responsabile del progetto Patchwork del comune di Pianoro

Mattia Minghetti è il responsabile del progetto Patchwork del comune di Pianoro

Pianoro (Bolgona), 18 ottobre 2019 - Non aprite quell’armadio. Il Comune di Pianoro, per voce del vicesindaco Marco Zuffi, promette «approfondimenti» interni per capire se vi siano responsabilità sulla custodia e la gestione dei documenti ritrovati dal leghista Luca Vecchiettini in un guardaroba nella saletta dei consiglieri comunali al Centro civico di Rastignano. Una vicenda denunciata all’ispettorato di pubblica sicurezza della Camera dalla senatrice della Lega Lucia Borgonzoni.

Anni di schede di appunti e commenti su bambini che hanno frequentato le elementari o le medie nel comune della Valle dell’Idice fino al 2012, sui loro comportamenti e profili, redatti dagli psicologi incaricati dal Comune nell’ambito del ‘Progetto Patchwork’, tuttora attivo. Il vicesindaco punta il dito contro «la diffusione di dati sensibili con riferimenti a classi, iniziali e anni scolastici» che renderebbero riconoscibili i bambini coinvolti, e sottolinea come questi «non fossero in possesso del Comune, ma appunti di professionisti che secondo un regolare bando lavoravano alle sue dipendenze». L’armadio, contenente «sette faldoni» di schede ed elenchi di bambini, secondo la denuncia degli esponenti leghisti, è stato sigillato e posto sotto sequestro dalla polizia locale, mentre ora è nelle mani dei carabinieri.

In ogni caso, «il centro civico è un edificio pubblico, ma nella saletta potevano accedere solo i capigruppo, previa prenotazione in un’apposita chat. Solo loro hanno le chiavi e quella stanza è rimasta chiusa per lungo tempo: forse per questo nessuno si è accorto degli appunti abbandonati nell’armadio dagli psicologi del progetto Patchwork». Proprio il referente del progetto a partire dal 2012, lo psicologo e psicoterapeuta Mattia Minghetti, definisce «surreale» l’intera vicenda. «Quelli rinvenuti nell’armadio sono solo ed esclusivamente appunti personali di qualche professionista che mi ha preceduto e che non lavora più al progetto da anni, non per problemi ma per il naturale avvicendamento del personale – specifica lo psicologo –. Non si tratta di cartelle cliniche, dato che la nostra non è una professione sanitaria, né di documenti ufficiali, dato che in quelli non potremmo mai fare i nomi dei ragazzini e nemmeno citarne le iniziali: il nostro programma infatti prevede di lavorare soltanto sul gruppo classe, ma gli appunti servono a noi per ricordarci i bambini e fare il nostro lavoro. Nessun altro dovrebbe poterli leggere».

Ma perché quegli appunti si trovavano in un armadio potenzialmente accessibile da moltissime persone? «Quei documenti erano archiviati correttamente, al tempo in cui stati redatti: quella era la saletta riservata ai professionisti di Patchwork, che qui incontravano anche i genitori degli alunni – prosegue Minghetti –. Dunque, gli appunti erano a loro esclusivo utilizzo; ma poi, con il trasloco della sede per motivi logistici, e il passaggio del progetto a una politica completamente ’paper free’ (ora tutti i documenti e gli appunti sono digitali e protetti da sistemi affidabili di sicurezza), può darsi che siano stati dimenticati». Marchetti sottolinea infine come «la macchina del fango avviata contro di noi ci ha turbati: abbiamo già contattato l’Ordine degli psicologi per agire per vie legali. Certo, è bene valutare se ci siano responsabilità da parte di chi avrebbe dovuto distruggere quei fogli. Ma ci domandiamo perché nessun esponente della Lega ci abbia mai contattati per chiedere almeno delle delucidazioni».  

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