Pilastro, le carte del blitz antidroga. La scalata di Yaya, pronto a fare il boss

Le intercettazioni della polizia testimoniano la rete di contatti del diciassettenne a cui citofonò Salvini

Blitz antidroga al Pilastro

Blitz antidroga al Pilastro

Bologna, 28 maggio 2022 - Non aveva ancora compiuto 18 anni Yaya. E, malgrado fosse un ‘cinno’, come lo apostrofava - dall’alto dei suoi due anni in più - il suo amico e socio Monir Samia, era una "cartola". Sveglissimo, prudente, a pieno inserito nell’attività di spaccio del Pilastro, tanto da essere già pronto ad avviare un’attività ‘in proprio’, staccandosi dall’egemonia della famiglia Rinaldi. Nelle 155 pagine dell’ordinanza redatta dal gip Maria Cristina Sarli, il ruolo nel sodalizio criminale pilastrino ricoperto da Yassin Labidi occupa interi capitoli, benché della sua posizione tratti in sede separata il tribunale dei minori.

YASSIN ‘YAYA’ LABIDI

Il ragazzo, che oggi ha 20 anni, la sera del 21 gennaio 2020 aveva risposto alla ormai celebre citofonata, al 16 di via Deledda, del leader del Carroccio Matteo Salvini, "Scusi, lei spaccia?". Quella ‘visita’ preelettorale aveva fatto scalpore e suscitato polemica. Ma la risposta, agli atti della Squadra mobile e della Dda, che attraverso il pm Roberto Ceroni ha coordinato il lavoro di indagine, è sì. Yaya spacciava, e anche ingenti quantità. E il clamore mediatico suscitato dalla citofonata non aveva minimamente scalfito il suo florido giro di affari, portato avanti pure con mamma, papà e fratello. Tanto che, appena un mese dopo quel fatto, assieme al padre Faouzi Ben Ali, aveva acquistato un chilo di hashish, per 3.850 euro. Come scrive il gip, la sua attività di spaccio "è risultata continuativa per tutto l’arco dell’indagine (talvolta in concorso con Samia, sotto l’egida di questi e di Salah Eddine Karmi, con i quali il rapporto fiduciario era comprovato dalla piena cooperazione che il giovane prestava in occasione della già analizzata acquisizione della fornitura di 8 chili di hashish, il 27 novembre 2019). La distribuzione di hashish e cocaina reperita tramite i canali di rifornimento della famiglia Rinaldi veniva da Yaya posta in essere mediante il mantenimento di una rete di contatti con un complesso di acquirenti anche di giovanissima età, che venivano principalmente fatti arrivare nei pressi della sua abitazione di via Grazia Deledda". Infatti, anche quando il giovane pusher non era in casa, provvedevano la mamma Caterina Razza o il padre - non senza errori, rimproverati dal ragazzo - a servire i suoi clienti.

SPACCIO DI FAMIGLIA

Yaya si affermava altresì un valido braccio destro di Monir Samia, figlio di Elisabetta Rinaldi e nipote di Salah Eddine Karmi, ai vertici, assieme al compagno della madre Oert Mustafaj, del sodalizio pilastrino. I due ragazzi, però, sognavano la scissione. E l’avevano anche tentata, acquistando, all’insaputa dello zio Karmi, un chilo di hashish al prezzo di 3mila euro, da un fornitore che, in passato, era stato cliente di Nicola Rinaldi. Una partita garantita, ceduta "a meno di quanto te lo fa Salah Eddine (Karmi, ndr)", aveva assicurato il fornitore. "Va bene – aveva replicato Monir –, me lo fai vedere al volo, io lo vedo solo... vado e torno, prendo i soldi e ritorno e facciamo quello che dobbiamo fare, no?". Era il 25 novembre 2019, l’accordo era fatto. L’episodio conferma l’assoluto rapporto di fiducia tra Monir e Yaya, intercettati in decine, se non centinaia, di viaggi su e giù per il Pilastro per vendere e acquistare hashish. E Yaya, a modo suo, era anche professionale. Tanto da rimproverare al fratello maggiore Mohamed ‘Momo’, anche lui spacciatore e ora alla Dozza, di fare troppo uso di coca. Momo ci scherzava su: "Ce l’ha a morte con me perché pippo – diceva agli amici – mi sta facendo il video... figlio di puttana lo fa vedere a mio padre dopo... vai via, dammi la scheda... Ce l’ha a morte con me perché pippo di brutto".

LE DONNE RINALDI

Se i ragazzini erano più che attivi nel campo delle vendite, anche le donne della famiglia Rinaldi non scherzavano. Elisa Rinaldi in più occasioni aveva accompagnato il figlio Monir per consegne, in particolare quando nel quartiere c’erano controlli di polizia, perché assieme a lei il figlio avrebbe destato meno sospetti. Ma anche la capostipite, la mamma di Nicola Rinaldi e nonna di Monir, Anna Maria Arena, aveva il suo da fare, sia nel campo dello spaccio che della ricettazione. Accoglieva i clienti a casa in via Frati, ma partiva anche in auto per raggiungerli, premunendosi di portarsi dietro, in questi spostamenti, non il suo telefono, ma quello del defunto marito.

Oltre ai soldi, accettava anche pagamenti in merce e alimentari. Ma non era tenera con chi sgarrava: "Già due anni fa avevi fatto il furbo – scriveva in un sms a un cliente il 9 dicembre 2019 –. Ora l’hai fatto di nuovo. Sappi che basta che dico in giro che ti cerco dopo sono c....zi tuoi. Vedi tu, per me meglio che rispondi. Per te lo dico, ambasciatore non porta...". Un messaggio che, per il gip, evidenzia "non solo la retrodatazione del rapporto di fornitura di stupefacenti" in favore del cliente, "ma altresì il ricorso a una pratica intimidatoria chiaramente chiamante in causa gli altri membri della famiglia".

 

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