Poma, Matteo e il paradigma della ‘teneressa’

Valerio

Baroncini

Teneressa non significa debolezza, ma forza. Don Matteo ce l’ha insegnato in questi anni, stravolgendo una grammatica diocesana che s’è fatta politica, proprio quando l’antipolitica stava per vincere. E dico politica pensando a Protagora, a quella che era intesa come l’arte di persuadere, all’idea dell’uomo come misura di tutte le cose prima che all’arte di governare. La teneressa di Zuppi, le sue parole, la sua presenza ci hanno imposto un cambio di rotta: pensate all’impegno per i più deboli (ma chi avrebbe fatto partire la visita di un Papa dall’hub di via Mattei?) ma soprattutto a quello per il lavoro, missione che da Bologna verrà trasferita nel Vaticano e nel Paese. La stessa teneressa l’aveva il cardinale Antonio Poma: non è un caso che sia Zuppi sia Poma abbiano attraversato momenti delicati della nostra storia. Zuppi la coda lunga della crisi, la pandemia e la guerra ucraina; Poma il ’68, il ’77, gli scontri di piazza degli autonomi. Zuppi ha accolto Papa Francesco, Poma Giovanni Paolo II nel 1982: entrambi due pontefici innovatori e forse non è un caso. Poi torniamo alle parole di Zuppi nel giorno della nomina, in ottobre del 2015: "Chiedo ‘teneressa’ alla Madonna di San Luca". E la Madonna di San Luca sarà l’occasione per il ritorno a Bologna, la sua Bologna,la nostra Bologna, dopo gli impegni romani. Non so se sia un segno, di sicuro è una speranza: la Madonnina che accompagna Bologna dall’alto, quel suo essere ‘casa’ e simbolo anche per gli atei, è lo stimolo – anche grazie all’ìmpegno di Zuppi con i vescovi italiani – a una ritrovata armonia, comunità, coesione. Il paradigma della teneressa dopo giorni bui.

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