Ponti di Pace Bologna, le cicatrici e le speranze dei bambini

ll male di vivere dei piccoli: storie, numeri, lettere e alternative. Ecco la loro voce

Ponti di pace, l'incontro sui bambini

Ponti di pace, l'incontro sui bambini

Bologna, 15 ottobre 2018 - I bambini chiedono pace. Basta dare uno sguardo alla geografia del pianeta, per sentire la loro voce. Voce che è stata ascoltata a Bologna, dove è in corso l'incontro internazionale della Comunità di Sant'Egidio 'Ponti di pace'. Ebbene, ecco alcuni dati: 1 milione e 300 mila bambini muoiono prima di nascere; 6 milioni e 300 mila bambini – osserva Mario Marazziti (Sant'Egidio) - muoiono troppo presto (tra 0 e 14 anni); nell'Africa Sub Sahariana 1 bambino su 13 muore prima dei 5 anni.

Ma focalizziamo l'attenzione su uno scenario a cui ci siamo troppo abituati: la Siria, dove 3 milioni si bambini “hanno conosciuto solo la guerra, non hanno mai conosciuto una vita senza le bombe, senza nascondersi senza la paura, la paura di andare a scuola perché il compagno di classe è saltato per aria e non gioca più con lui”.

Spostiamoci in Asia, con Kutub Uddin Tariq, coordinatore capo di 'We the dreamers': 36.000 bambini orfani nei campi in Bangladesh. Qui 60 bambini al giorno nascono in condizioni spaventose. Eppure il Bangladesh, uno dei Paesi più poveri al mondo, ospita più di un milione di profughi Rohingya, e ne è il primo paese finanziatore, con un reddito pro capite di 1.500 dollari all’anno.

Lucia Capuzzi, giornalista e scrittrice, segnala la crescita esponenziale dei giovani diciottenni suicidi, come spia di un malessere profondo in un mondo che riconosce ufficialmente 70 conflitti, ma dove l’America latina si presenta come il continente più violento. “Dobbiamo pensare all’impatto di quella violenza sui bambini, alle loro cicatrici”, spiega e conduce chi ascolta per le strade della città messicana di Ciudad Juarez, la più violenta al mondo tra il 2008 e il 2012, dove ogni settimana due ragazzi si tolgono la vita. Qui ci sono “bambini che mitizzano la guerra e che continuano a giocare a sicari e poliziotti. Quando ho chiesto ai bambini – di circa sei anni - cosa volevano fare da grandi loro mi hanno risposto: il narco, perché così potevano ammazzare chi voleva fare del male alla loro famiglia”. Un altro ragazzino, di 14 anni, risparmiava i soldi perché voleva uccidere l’uomo che aveva ucciso il suo papà. Accanto a questi piccoli, ci sono poi i bambini che non esistono perché mai registrati alla nascita, in Paesi dove non esiste l'anagrafe o dove si possono registrare solo coloro che hanno un reddito. Ci sono bambini che vivono i maltrattamenti in casa: 427.000 bambini lo scorso anno avrebbero subito maltrattamenti in casa coinvolti in quelli a danno della mamma. Ci sono bambini che subiscono atti di bullismo e cyberbullismo e tutti, proprio tutti, sono sottoposti al clima di paura del nostro presente e alla predicazione, anche sottile dell'odio.

Cosa dice la voce dei bambini? Una di loro ha scritto al Presidente degli Stati Uniti: “Devi fare qualcosa per i bambini della Siria. Se ci riesci sarò la tua migliore amica”. Come mettere in campo una cultura che difenda di più i bambini? Da Bologna parte un appello a un'Italia e a un'Europa spaventate perché si facciano promotrici di protezione e crescita dei piccoli, perché, sottolinea Marazziti, “si nasce bambini, bisognosi di tutto. Ma vivere in pace non riguarda, ugualmente, tutti i bambini”.  

Adriana Gulotta (Sant'Egidio) porta l'esempio delle scuole della pace, che da 50 anni aiutano generazioni di giovani in tutto il mondo a rispondere alla violenza con il sentimento della pace, e di Bravo, il progetto per l'iscrizione all'anagrafe dei bambini che di fatto non esistono, sono invisibili. C'è bisogno di sentimenti più che di emozioni: “I giovani vivono dentro una vetrina spirituale, in uno scarto tra reale e virtuale che genera un trauma nell’impatto con la realtà. E’ un fatto grave nella società di oggi la privazione dei sentimenti, tanto diverse dalle emozioni. Quando i giovani non conoscono i sentimenti, qualcosa di terribile è avvenuto nella società”. Ad una logica del “prima gli italiani” si può proporre come alternativa una nuova sensibilità alle difficoltà e tragedie della terra. Nel deserto emotivo che è la vita di tanti ragazzi “la tenerezza verso l’altro diventa un elemento di forza, allora giovani vicino ai bambini, giovani vicino agli anziani”. Il Cardinale Philippe Ouédraogo, arcivescovo di Ouagadougou (Burkina Faso), rimarca come anche per un bambino “la ricerca di identità non dovrebbe essere cercare il nemico ma un compagno di strada”. Dalla competizione alla collaborazione, “la nostra gioventù ha bisogno di credere con noi che l’amore è più forte dell’odio e che niente è più bello che proteggere la vita umana”. Si tratta di raccogliere la sfida educativa nella quale è decisiva la memoria della Shoah e dei bambini che vi sono scomparsi. Ruth Dureghello, presidente della Comunità Ebraica di Roma, ha insistito su questa memoria, su quella di Sami Modiano, espulso dalla scuola nel '38 (una ferita aperta a 80 anni dalle leggi razziali) e su quella dei bambini come il piccolo Stefano Taché ucciso nell’attentato alla Sinagoga di Roma nel 1982.  

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