Bologna, il piano anti-droga del prefetto Impresa

Intervista al nuovo prefetto in visita al ‘Carlino’. “Non ci sono zone franche, non possiamo avere alcun arretramento“

Patrizia Impresa, nuovo prefetto di Bologna, durante la sua visita al ‘Carlino’ (Schicchi)

Patrizia Impresa, nuovo prefetto di Bologna, durante la sua visita al ‘Carlino’ (Schicchi)

Bologna, 2 agosto 2018 - Patrizia Impresa, nuovo prefetto di Bologna, ha visitato la redazione del nostro giornale, incontrando il direttore di Qn-il Resto del Carlino Paolo Giacomin, il condirettore del Carlino Beppe Boni e il capocronista Valerio Baroncini.

Prefetto Patrizia Impresa, da poco è arrivata a Bologna. Che città ha trovato?

«Nella mia carriera non ci avevo mai lavorato, non la conoscevo proprio. E devo dire, in tutta onestà, che Bologna è bella, bellissima, di una bellezza che definirei accogliente. Si ha sempre la sensazione di poter partecipare alla sua vita: è una città che ti abbraccia e che ha condizioni di vita buone, se non ottime».

Pensi che i bolognesi sono ipercritici verso la propria città. Forse perché la amano molto, forse perché non è amministrata come vorrebbero...

«Io penso che questo ottimo standard di vita determini un’aspettativa alta. Il nodo è questo. Ognuno vuole che la città risponda alle proprie esigenze».

Eppure i problemi ci sono, ad esempio con lo spaccio e l’ordine pubblico in alcune zone. Che idea si è fatta?

«Ho già fatto alcuni comitati per l’ordine pubblico, incontrato istituzioni e strutture giudiziarie che lavorano benissimo, imprenditori e associazioni di categoria: alcuni temi hanno creato luoghi meno sicuri di altri, bisogna stare attenti a un disagio che può diventare pericoloso».

Si spieghi meglio.

«Sono una abbastanza attiva. E quando ho visto che c’era un assessore alla sicurezza così dinamico e giovane (Alberto Aitini, ndr), gli ho chiesto di venire con me a fare una passeggiata. In incognito».

E dove siete stati?

«Ho chiesto di partire dalla Montagnola. Su quell’area dico subito che una seria riflessione va fatta».

Cos’ha trovato?

«La zona è chiaramente scelta per lo spaccio, noi dobbiamo lavorare sia sullo smistamento della droga, sia sul tema del consumo. Forse sul contrasto agli stupefacenti tutti abbiamo avuto qualche dimenticanza negli ultimi anni, serve dunque un atteggiamento definito e fermo. Purtroppo a volte le norme non hanno aiutato, ma sicuramente bisogna fare una pensiero sul tema dell’occupazione degli spazi. Non ci sono zone franche, non possiamo avere alcun arretramento. La lotta alla droga e al suo consumo è una questione sociale: spero anche che le ultime norme in tema di sicurezza urbana (i daspo da poco introdotti anche a Bologna, ndr) come i divieti di stazionamento in alcune zone, possano rendere la vita migliore dov’è possibile. Di sicuro in Montagnola, tra spacciatori e sentinelle, c’è una scenografia fastidiosa».

Poi dov’è stata?

«In piazza Verdi. Lì convivono studenti universitari normalissimi, alcuni più particolari, abusivi, spacciatori. La piazza è un po’ come un grande centro sociale a cielo aperto, se vogliamo definirlo in qualche modo: bisogna controllare, perché di certo la componente universitaria non va demonizzata, ma, anzi, è parte integrante di questa città».

I problemi sono però annosi...

«Banalmente i fenomeni vanno governati, dobbiamo mettercelo in testa: non li puoi eliminare o fermare, però puoi gestirli».

Fra gli altri temi caldi di gestione da parte della prefettura c’è quello dell’arrivo degli stranieri. Cosa accadrà all’hub di via Mattei? Chiuderà come si era detto in un primo momento?

«Direi di no, l’hub può essere usato come una risorsa per il transito e ora copre una necessità di distribuzione dei migranti. Spererei, piuttosto, in sede di nuovi bandi, di abbassare la quota delle presenze, che comunque è in diminuzione. Di sicuro stiamo facendo il massimo, con nuovi funzionari e più commissioni per sbrigare le pratiche: servirebbe però l’impegno di tutta l’Europa, non possiamo essere lasciati soli».

Proprio l’altro giorno si è avviato l’iter per la nuova moschea. Ha già incontrato la Comunità Islamica?

«Non ancora, ho letto della notizia dai quotidiani. Immagino che la scelta dell’amministrazione sia stata presa in relazione a una necessità: di sicuro il dialogo è lo strumento fondamentale per gestire i processi delicati ed è fondamentale avere rispetto per tutti. E tutti devono avere rispetto per le nostre città e i nostri cittadini».

Il suo arrivo a Bologna coincide con le commemorazioni della strage del 2 agosto. Cosa ricorda di quel giorno di 38 anni fa?

«All’epoca ero in vacanza studio, la mia prima vacanza da sola. Avevo vinto una borsa di studio e con i risparmi di un anno ero andata via. Rientravo dalla Corsica, quando all’improvviso mi ritrovai nel bel mezzo di un vociare strano, informazioni a spizzichi e bocconi. Non c’era Internet, le poche notizie che avevamo giungevano dalla radio e dalla tv. Era una situazione davvero surreale, all’inizio non capimmo la gravità dei fatti. Poi la situazione divenne chiara».

Oggi cosa dirà ai familiari delle vittime?

«In momenti come quelli, in momenti pesanti come quelli del terrorismo – ho lavorato tanti anni a Milano, ogni giorno c’era un annuncio di violenze o attentati – pensi alla tua famiglia, al grande dolore dei parenti delle vittime, a quelli che se ne sono andati e a quelli che restano. Poi ci sono le nuove generazioni...».

Il nostro giornale ha lanciato una campagna sulle lezioni di vita 4.0: una proposta supportata da una proposta di legge per educare alla ‘vita’ e alla cittadinanza i ragazzini.

«Un’iniziativa con cui non posso che trovarmi d’accordo: i nostri giovani hanno bisogno di consigli e di iniziative come queste. Siamo ipertecnologici e iperconnessi, modernissimi e preparatissimi, ma sappiamo davvero affrontare la vita? Il disagio e il degrado in cui a volte si cresce possono finire per essere un problema gravissimo».

 

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