Tommaso
Guerini*
Del resto, le esperienze recenti dimostrano come le riforme introdotte per assecondare la
passione contemporanea per il punire spesso si risolvano in casi da manuale di
eterogenesi dei fini.
Penso all’esclusione del rito abbreviato per i delitti punibili con l’ergastolo – come
l’omicidio aggravato – che sta costringendo i Tribunali di tutta Italia a formare costose e
inutili Corti d’Assise per celebrare processi nei quali l’imputato è reo confesso e nei quali il meccanismo di bilanciamento delle circostanze consente comunque di comminare pene
simili a quelle che avrebbe potuto applicare un unico giudice in sede di abbreviato.
Tuttavia, le istanze portate avanti dall’Avvocato della famiglia Gualzetti e discusse dal Presidente della Camera Penale di Bologna, Roberto D’Errico, meritano di essere
valutate, non foss’altro perché si pongono in controtendenza con una delle storture di cui
parlavo poco fa.
Si propone infatti di ampliare il potere discrezionale del giudice, consentendogli, nel caso in cui il minore si sia macchiato di gravi delitti, di valutare in concreto se meriti applicazione l’attenuante della minore età, che oggi viene applicata automaticamente.
La questione è complessa e andrebbe probabilmente discussa nell’ambito di un più
generale ripensamento della categoria dell’imputabilità, la cui disciplina risente ormai della distanza siderale tra le concezioni dominanti negli anni ’20 del Novecento, quando fu pensato e scritto il Codice penale vigente e quelle attuali. Detto questo, l’idea di sottoporre al vaglio del giudice del merito la concessione di un
beneficio quale l’attenuante della minore età merita di essere presa in considerazione,
magari con un piccolo correttivo, ovvero lasciando in vigore l’attuale disciplina per il minore che abbia già compiuto gli anni quattordici, ma non ancora gli anni sedici.
Questo consentirebbe ai più giovani di godere di un beneficio pensato per garantire il recupero e il reinserimento del minore e, allo stesso tempo, di responsabilizzare
maggiormente un soggetto ormai vicino alla maggiore età e, quindi, alla imputabilità piena. In questo dibattito mi pare però che resti sullo sfondo un problema antico, che forse
meriterebbe di essere preso in seria considerazione da chi si candida alle elezioni di
settembre: quali e quante risorse devono essere destinate alla creazione di un sistema efficace di giustizia minorile?
Chiunque sia mai passato da Via del Pratello sa perfettamente che quei luoghi, come peraltro avviene nel resto d’Italia, nonostante la generosità e gli sforzi del personale e dei
volontari, non sono per nulla idonei a garantire percorsi di crescita e reinserimento di
minori che nella stragrande maggioranza dei casi provengono da situazioni di grave disagio sociale.
Ben venga quindi un serio dibattito sulla giustizia penale minorile, purché non si pensi
all’ennesima riforma a costo zero, che verosimilmente si risolverebbe in un nulla di fatto.
*Professore di diritto penale all’Università di Bologna
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