Bologna, racket funerali. La testimone: "Erano come avvoltoi"

Il racconto di una pensionata che ha perso il marito: “Mi dissero: signora, pensiamo a tutto noi”

Sequestri di documenti durante le perquisizioni dei carabinieri per il racket delle pompe funebri

Sequestri di documenti durante le perquisizioni dei carabinieri per il racket delle pompe funebri

Bologna, 22 gennaio 2019 – «Mio marito era appena morto. Appena siamo arrivate, io e mia figlia, in camera mortuaria, si sono avventati su di noi come gli avvoltoi». La signora Emy M., 88 anni, non può dimenticare il giorno di 8 anni fa quando suo marito morì. Ricorda la corsa al Sant’Orsola, le ore d’attesa al pronto soccorso senza poterlo vedere. E ricorda pure quando gli intermediari della ditta Franceschelli ‘agguantarono’ lei e la figlia, appena arrivate nella camera mortuaria. «Mi dissero: ‘Signora non si preoccupi, pensiamo a tutto noi’ – racconta la signora –. Noi eravamo sconvolte, anche perché la sera prima ero riuscita a vedere mio marito quando ormai non era più neppure in grado di riconoscermi. Neppure addio sono riuscita a dirgli, dopo una vita insieme. E questi erano lì, per sfruttare la nostra sofferenza. Quando ho letto dell’inchiesta (VIDEO), l’altro giorno, mi è tornato tutto alla mente. In certi momenti non ti chiedi il perché delle cose... Le fai e basta. Non pensi che ci sia qualcuno capace di lucrare anche sulla morte».

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Il marito della signora Emy aveva 90 anni, era un professionista molto conosciuto in città. «Da qualche tempo non camminava più ed era nella casa di riposo in via Laura Bassi, perché io non riuscivo ad accudirlo da sola – spiega ancora la donna –. Il 31 agosto del 2011 dovevo andarlo a trovare nel pomeriggio nella struttura con nostra figlia. Poco prima dell’ora di pranzo, però, mi hanno chiamato dicendo che mio marito si era sentito male ed era stato portato al Sant’Orsola. Sono corsa al policlinico: dalle 13 alle 19,30 non me lo hanno fatto vedere. Quando sono riuscita a entrare nella stanza dove era ricoverato in terapia intensiva era ormai tardi, perché era in stato di semincoscienza. Volevo stare con lui, ma gli infermieri mi hanno detto che non potevo passare la notte lì. La mattina dopo, alle 7,30, sono stata chiamata dall’ospedale: ‘Corra, suo marito si è aggravato’. Ma quale aggravato... Era morto da ore. Alle 8, quando sono arrivata, era già rigido. Me lo hanno fatto vedere così, con gli occhi ancora aperti. Poi lo hanno portato in camera mortuaria».

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Dove, appunto, c’erano già gli impiegati delle pompe funebri ad attendere la donna. «Non ricordo, sinceramente, se mi hanno chiesto di pagare una cifra in contanti – dice –. Sono passati otto anni e io ho una certa età. Ma ho conservato un appunto con tutte le spese, da quella per il vestito fino alla lapide. Ed era la ditta Franceschelli che si è occupata di tutto. Solo la cerimonia funebre ci costò 4mila euro. Ma non è questo il punto. È che venire a sapere quello che succedeva in quei posti di dolore mi ha fatto schifo. Per questo ho vouto raccontare. Perché non si può lucrare su tutto, persino sulla morte».

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