CLAUDIO CUMANI
Cronaca

"Restiamo umani? No, diventiamo sovrumani"

Alessandro Bergonzoni domani sul palco del Duse per i 200 anni del ’suo’ teatro. "Lo spettacolo? Metto all’asta i pensieri"

"Restiamo umani? No, diventiamo sovrumani"

"Restiamo umani? No, diventiamo sovrumani"

Non è uno spettacolo. Il concetto viene ripetuto più volte durante la presentazione delle serate che Alessandro Bergonzoni dedicherà ai duecento anni del Duse. Serate perché a quella di domani, già sold out da tempo, se ne è aggiunta un’altra in programma il 20 novembre. Il doppio appuntamento conclude gli eventi live dedicati allo storico compleanno del palcoscenico di via Cartoleria, in attesa dell’inaugurazione della mostra fotografica visitabile fino a fine anno. Dunque, non è uno spettacolo.

"Non ha un titolo e non si sa cosa succeda – spiega il regista Riccardo Rodolfi –. Non avremmo mai proposto un allestimento nuovo in questo contesto, scegliamo un’altra strada". "Metteremo all’asta pensieri per cercare collezionisti", stuzzica l’attore. Che, in una nota di presentazione, scrive: "Festeggio con letture, testi a vista, intravista imprevista benvista e intervista". Intervista perché, al termine della performance, Alessandro dialogherà con il giornalista Emilio Marrese attorno a un tema intrigante come la genesi dell’ispirazione.

Di certo, non poteva mancare Bergonzoni in questo calendario. E non solo perché qui si è esibito almeno un centinaio di volte o perché a fine anni ‘90 ha inaugurato con ‘La cucina del frattempo’ quelle recite di mezzanotte che purtroppo non avrebbero avuto dopo di lui seguito, quanto perché, da ‘Anghingò’ in poi, questo è stato il suo teatro. Ne sono una riprova le numerose repliche del suo ‘Trascendi e sali’ nel maggio 2021 quando, dopo il Covid, i teatri vennero riaperti a un pubblico fortemente ridotto.

Bergonzoni, come si entra con il sorriso in una realtà densa, complessa e difficile come quella che ci circonda?

"A me il teatro sta stretto come Gibilterra o i Dardanelli. Rivendico una forma di ‘tealtro’, ovvero di un teatro dove non faccio solo la mia parte ma anche anche quella di tutti. E mi definisco ‘altrista’ perché sento il bisogno come artista di muovermi altrove. Qui non ci saranno scene, ci bastano quelle di guerra e di violenza a cui assistiamo. E la serata del 20 sarà probabilmente diversa da quella di domani perché cambiano le cose che ci circondano. Aspetto con curiosità lo spettacolo che il pubblico farà vedere a me".

Cosa pensa di definizioni legate all’attore come irriverente, satirico o parodistico?

"Non ho mai amato il teatro inteso come distrazione e trovo comunque perverso dire che oggi fa ridere più la politica dei comici. Credo che un artista non debba essere ostaggio di niente e di nessuno e che si debba muovere sul filo di un rasoio sanguinante. È il momento di riprendersi la bellezza e la giustizia, voglio essere incinta di un nuovo cuore perché uno non basta. Non è sufficiente essere umani bisogna diventare sovrumani".

Quindi le due serate serviranno a esplorare un cervello d’artista?

"In questo momento trovare qualcosa da rappresentare è molto difficile. Meglio una tavola anatomica che una atomica. Mi interessano i legni del palcoscenico ma anche quelli in mezzo al mare. Siamo preoccupati dell’ipotetico crollo della Garisenda ma quante torri, gemelle, zitelle o sorelle, sono cadute? Bisognerebbe congiungere tutte le torri del mondo. Si dice, a proposito degli avvenimenti, che bisogna vedere cosa c’è sotto: è arrivato il momento di capire che cosa c’è sopra. Sopra al sole".

In luglio ha ideato il rito che prevedeva dalla Torre dell’Arengo della piazza 600 colpi di campana per ricordare i migranti morti. Proseguirà questa iniziativa?

"Stiamo lavorando a un video che proponga su Internet il suono delle campane per 53 minuti a schermo buio. È arte, spiritualità o protesta? Sinceramente non so. Credo che i cunicoli dove la gente si nasconde siano gallerie, come gallerie sono quelle d’arte".