"Rido delle nostre paure e dell’essere umano quando ’deraglia’"

Arianna Porcelli Safonov, youtuber, attrice e scrittrice stasera al Duse con il suo ’Fiabafobia’: "Siamo immersi nel paradosso"

"Rido delle nostre paure e dell’essere umano quando ’deraglia’"

"Rido delle nostre paure e dell’essere umano quando ’deraglia’"

Con i suoi monologhi fa indagine sociale, fotografa l’essere umano ’urbano’ quando qualcosa nel meccanismo prestabilito dalla società si inceppa. In ‘Fiabafobia’ Arianna Porcelli Safonov mette a nudo le paure del nostro tempo, dalla pandemia alla socialità. Attrice, scrittrice, youtuber con 31mila iscritti (374mila follower su Facebook) e autrice, porta in scena il suo nuovo live stasera alle 21 al Teatro Duse di via Cartoleria 42.

Porcelli Safonov, quando è nata l’idea di ‘Fiabafobia’?

"Durante il Covid. In quel periodo tutti ci siamo confrontati con la paura. E non soltanto la paura del virus, anche dello sconosciuto, del passante, del vicino di casa che diventava portatore del virus. E quindi da lì ho iniziato a scrivere e a mettere insieme i pezzi che potevano aiutare a sorridere dell’atteggiamento che l’uomo ‘fichissimo’ ha nei confronti della paura. Sia quando riguarda una fobia personale, a partire dalle mie: la paura di alcuni animali, del buio, dell’acqua alta, di volare, fino ad arrivare alle fobie sociali".

Quali sono le paure sociali?

"Quelle vengono generate, incentivate, da un sistema che ha bisogno di saperci paurosi. La paura dell’immigrato, per esempio. A un certo punto l’arabo con lo zainetto, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, è diventato uno status symbol, una moda. Tutti ne abbiamo avuto paura perché ci dicevano che bisognava averne. Poi la mucca pazza, la peste suina, fino al Covid. Si parte da un motivo che è anche legittimo, ma si arriva a situazioni oltre il paradosso, che si prestano alla satira e all’umorismo".

Chi le ha dato maggior terreno fertile per costruire il monologo?

"È veramente enorme il bacino di persone e di paure che si trovano a bagnomaria in quest’ultimo ventennio. Diciamo l’essere umano ’urbano’, schiacciato dentro a quello che deve dimostrare di essere. Prima eravamo un po’ più variegati, adesso devi avere ingredienti prestabiliti".

Quali?

"Un’alimentazione di un certo tipo, interessi prefissati che vanno dal CrossFit alle terme fino al ciclo biologico. Mi piace fotografare l’essere umano quando si sbaglia, quando qualcosa in quel meccanismo si inceppa".

Se dovesse scrivere uno dei suoi testi sui bolognesi, su quale caratteristica insisterebbe?

"La prima cosa che mi viene in mente è questa vostra ossessione per cui tutto è bellissimo e buonissimo. Spesso sono stata accompagnata da Giorgio Comaschi, che per voi è un’istituzione, e mi faceva vedere anche i sacchi dell’umido fuori dal portone, perché avevano comunque una valenza storica. O la via delle prostitute, patrimonio dell’Unesco – ride, ndr –. Ecco, mi piace questo vostro amore profondo per la città che è genuino rispetto a quello che possiamo avere noi romani, che millantiamo di essere amanti della città".

Amalia Apicella

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