Saga Coffee, la notte con i lavoratori in presidio a Gaggio: "Eravamo una famiglia"

Tra rabbia, incredulità e voglia di non arrendersi: sotto la tenda assieme agli uomini e alle donne che rischiano tutto. Cibo e bevande per scaldarsi

Due dipendenti si attrezzano per trascorrere la notte nelle tende davanti alla Saga Coffee

Due dipendenti si attrezzano per trascorrere la notte nelle tende davanti alla Saga Coffee

Bologna, 12 novembre 2021 - "È stato un pugno allo stomaco. Spererei che qualcuno ci ripensasse. Chiudere uno stabilimento così nella nostra vallata vuol dire rovinare tutti". Marie Claude ha quasi 45 anni e due figli. È quasi mezzanotte e sta parlando dentro una tenda perché, dopo 26 anni passati a costruire macchinette del caffè, il gruppo Evoca vuole chiudere lo stabilimento di Saga Coffee, quindi ha iniziato un presidio a oltranza insieme ad altri 220 colleghi. Si considera una delle più fortunate: suo marito uno stipendio ce l’ha. Cosa non scontata, se vivi a Gaggio Montano nel 2021 e sei cresciuta nel mondo Saeco.

Due dipendenti si attrezzano per trascorrere la notte nelle tende davanti alla Saga Coffee
Due dipendenti si attrezzano per trascorrere la notte nelle tende davanti alla Saga Coffee

Saga Coffee chiusura, così Bologna ha perso la 'valle del caffè'

È novembre, ma a Casona di Gaggio Montano dopo le 23 ci sono comunque dieci gradi. Un lusso che si paga con una pioggerella fastidiosa e il cielo coperto. In notti limpide, probabilmente, si potrebbe immaginare di essere a Saint Rémy de Provence, nella notte stellata di Van Gogh. Peccato. "Sei matto? Se è bel tempo vuol dire che fa un freddo cane. Bene che piova". In montagna prevale il senso pratico. Il brutto tempo porta con sé un problema urgente: "In tenda se viene a piovere sul serio si allaga tutto".  

In questa cittadella di camper, roulotte, tendoni ci sono almeno sei guardie che fanno turni da sei ore, tutte segnate sulla programmazione settimanale. Ma poi gli schemi saltano, perché magari dopo di te arriva la tua collega che conosci da vent’anni e ti fermi a bere un bicchiere. In tenda però si entra solo con mascherina e dopo essersi igienizzati le mani. Se hai il Green pass, meglio. Il turno delle 18 finisce a mezzanotte, poi quello più duro fino alle 6. Sotto la tenda, lasciate in un angolo stufe elettriche e due sdraio, due tavoli pieni di cibo. In un angolo le macchinette del caffè, dai vicini di Caffitaly. La solidarietà della montagna. "È naturale qui. E poi chi non ha un familiare qui, o in Demm?", chiedono. Giulia è una ‘figlia’ della Demm, sua mamma ha lavorato lì. Mostra il cellulare e racconta che la solidarietà sta arrivando da tutto il mondo: "Questa è un’ex collega di Saeco Iberica. Ce ne saranno altre".

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È una serata calda, quindi si sta fuori, a mangiare castagne e parlare. Però le ore passano, la temperatura scende e questo fa riflettere: "Finora c’è stata una bella risposta. Ma vediamo fra un mese, quando inizierà il freddo tosto. E qualcuno non potrà permettersi uno sciopero di mesi. Il 15 novembre hai la paga piena, a dicembre prendi la tredicesima. E a gennaio?". Nicola dice che non ci sono speranze, ma è qui: "Sì, perché è 28 anni che sono qui. Sono qui per i miei colleghi, per me e per una questione di affetto". Affetto, perché questi sono tra gli ultimi reduci di un comparto, quello delle macchine da caffè, che ha visto in pochi anni la chiusura dello stabilimento di Iola (comune di Montese, nel Modenese), di Panigali e gli esuberi di Torretta. "A Panigali stavamo ad aggiustare i macchinari fino alle otto o alle nove di sera, non pagati, mangiando una pizza per terra, per far funzionare l’azienda. Ci tenevamo", ricorda Nicola.

Anche per Giulia "quello di essere una famiglia era uno dei valori aggiunti delle aziende di montagna". Cosa significa essere una famiglia fra colleghi? Una dipendente guarda il fuoco: "Meglio essere qui insieme che a casa. Immagina tra qualche mese, a dirci addio". Se va male, sottinteso. Aldo Dal Rio, 39 anni, dall’Appennino pistoiese, ha un tono calmo, ma è arrabbiatissimo: "Provo incredulità, paura e rabbia, per aver sprecato vent’anni di impegno e conoscenze. Tutto quello che hai imparato che viene buttato via". Tanta carriera alle spalle significa anche un’età media alta. Guido Passini, in Saeco dal 1987, ha quasi 56 anni. "Me ne mancano sei, chi è il matto che mi prende? E poi il mio lavoro è questo". Ricorda gli anni d’oro: "C’era gente che nel garage sotto casa faceva i premontaggi per la Saeco. Gli affitti qui costavano come a Bologna". Mara è una furia: "Non mi fare video, ci terrei ma mi viene da piangere. Ho un figlio, non mi va di piangere davanti a lui. L’altra sera l’ho fatto sotto la doccia. Sono sempre venuta al lavoro, ho preso il 4x4 per farcela anche con la neve".  

Le sei di mattina sono passate, è arrivato il cambio della guardia. C’è Laura Borelli, che affrontò i 73 giorni di presidio in Saeco dove lavorava il marito: "Le mie figlie hanno affrontato il presidio allora e lo affrontano anche adesso. Oggi capiscono la situazione e la mia paura". Anche Elena c’era: "Evoca ha usato il nostro lavoro, ha preso le nostre macchine e il nostro marchio per il suo profitto. Noi ora non abbiamo più nulla. Fa male vederli che passano e ti guardano, ti viene da chiedergli: ma tu, quando vai a casa, a cosa pensi?". Tina non si fa illusioni: "Cosa mi aspetto? Poco. Siamo ancora scioccati". Ma si combatte. "Questa lotta fa bene a noi e a chi si troverà in questa situazione domani", dice Adriana. Arrivano l’alba e, alla spicciolata, oltre duecento persone. Qui nessuno è solo e la notte, per i suoi guardiani, è finita. Per l’Appennino ci vorrà qualche turno in più. Ma i montanari hanno pazienza.  

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